Voci a confronto

Dopo 15 giorni di rivolta dei giovani (e non solo giovani) egiziani, mentre ben pochi fanno notare la quasi assoluta assenza delle donne dalle piazze, continuano gli articoli e le interviste nei quotidiani di tutto il mondo. Ritengo doveroso, oggi, dedicare ampio spazio a Tariq Ramadan che firma uno dei suoi classici articoli per l’Herald Tribune; classico per la sua capacità di nascondere e falsificare certe realtà che, al contrario, sono più evidenti quando la platea non è data da un quotidiano occidentale. Chi l’avrebbe detto, scrive oggi, che al Cairo questo sarebbe successo? Nulla sarà come prima. In Egitto i Fratelli musulmani per 60 anni sono stati illegali, ma tollerati e sempre più influenti. Le analisi che si fanno in occidente sono superficiali; negli anni compresi tra il 1930 e il 45 essi sono stati contro il movimento sionista e contro i colonizzatori nazi-fascisti (e su questa sua verità ci sarebbe molto da discutere). Il fondatore Al-Banna venne ucciso nel 49 dal governo del re Faruk per volontà inglese, e i vari leaders si rifugiarono un po’ ovunque, in Arabia Saudita come in Indonesia, in Turchia come in Occidente; da qui nasce la realtà variegata attuale del movimento, anche se Ramadan sostiene che oggi dominerebbe la tendenza che vuole imitare la Turchia di Erdogan. Gli USA, l’Europa e Israele vorrebbero impedire questo bellissimo sogno di libertà, mentre i Fratelli, andando dietro a El Baradei (sic) non vogliono spaventare l’Occidente e la popolazione stessa. Israele, tuttavia, favorisce l’attuale giunta, e si mostra amico della tante dittature arabe per la propria volontà colonizzatrice. Ramadan vede grande incertezza nel prossimo futuro di Algeria, Yemen, Mauritania, Giordania, Siria, Arabia Saudita; verrebbe da chiedergli per quale ragione i suoi amici “democratici non violenti” non li auguri possibili vincitori anche in Iran. Il suo articolo finisce con parole di rispetto per la dignità dei palestinesi. Sul Sole 24 Ore Shlomo Avineri, già stretto collaboratore di Rabin, dopo aver espresso la grande preoccupazione degli israeliani di fronte alle incertezze del governo americano, scrive che, se una democrazia (quella israeliana) dovrebbe appoggiare la nascita di un’altra democrazia in un paese confinante, ora vi sono tuttavia ragionevoli dubbi. Già Ben Gurion appoggiò la rivoluzione di Nasser, e poi andò come si sa. Per ora sono due generali, il vice presidente ed il primo ministro, a controllare la situazione al Cairo, ma intanto bisogna fare attenzione ai Fratelli Musulmani, da 30 anni contrarissimi alla pace con Israele e molto vicini al regime di Hamas. Si chiede Avineri, e in tanti con lui: sarà l’alba di un nuovo giorno o il fulmine che preannuncia la tempesta? Thomas Friedman sull’Herald Tribune scrive che quello cui assistiamo è un evento solo egiziano, non religioso né legato ai Fratelli Musulmani (ma non osserva la contemporaneità di quanto avviene in tanti paesi arabi…); disinformato appare anche quando scrive che non si sente neppure nominare Israele nelle piazze cairote; finisce con una visione aulica: come il Nilo non seccherà mai, così il fiume della libertà potrà essere, al massimo, deviato per qualche tempo, ma non potrà essere prosciugato. Su La Stampa Lucia Annunziata osserva quanto sta avvenendo nei diversi paesi arabi e sembra seguire il pensiero e le parole di Hillary Clinton, ma poi mette in guardia i suoi lettori scrivendo che le tempeste sono fatte così: tutto si mette in moto, ma poi nulla è controllabile. Molti commentatori salutano il ritorno nella piazza del Cairo di Wael Ghonim, manager di Google di base a Dubai che andò in Egitto per unirsi ai manifestanti mentre li aiutava via internet e finito nelle carceri cairote; ora, liberato, si emoziona a vedere quel che succede anche grazie all’informatica, e, tra le lacrime, dice che non lui ma i tanti giovani sono i veri eroi di queste giornate. Che sia uno dei prossimi leaders? Roberto Tottoli sul Corriere parte nella sua analisi da quanto successe in Algeria, dove si tentò di imporre la democrazia; per lui sarebbe stato meglio se si fosse permesso agli islamici radicali di governare, come solo Le Pen, in Francia, sosteneva. Per Tottoli i Fratelli Musulmani da 40 anni sono ben diversi dai radicali (vorrei analizzare con lui nomi e pensieri degli attuali leaders per vedere se ha davvero ragione), e sembra non comprendere che la democrazia si deve costruire col tempo, con passi ben precisi ed indispensabili, mentre se la si vuole instaurare da un giorno all’altro si va inevitabilmente incontro al disastro. Un editoriale del Foglio approfondisce la realtà estremista dei Fratelli Musulmani che hanno lavorato in profondità, negli anni scorsi, non solo nelle città, ma anche nelle povere campagne; è lo stesso metodo seguito da Hamas nella realtà palestinese, e si è appunto dimostrato fondamentale per arrivare alla conquista del territorio. Oggi in Egitto il 90 per cento delle donne sono velate, e i Fratelli Musulmani, dopo aver conquistato tutti i fondamentali ordini, come quello dei medici, dei dentisti, dei farmacisti, degli avvocati, degli ingegneri, offrono una società “Pia” solo per non chiamarla “Totalitaria”. Fabio Scuto, per Repubblica, è andato a visitare la sede del grande quotidiano cairota Al Ahram, e si accorge che è arrivato, anche in quei corridoi, un vento nuovo. Peccato che non analizza le parole che sente dire, e si limita ad assicurare che più nessuno vuole scrivere le cose che scriveva fino al 25 gennaio; solito voltafaccia, così frequente nella storia degli uomini di basso livello. Virginia Di Marco per Il Riformista pensa che, il prossimo 14 febbraio, la rivolta si potrebbe manifestare anche nella piazza di Teheran (piazza della libertà, identico nome di quella del Cairo); ma se Khamenei e Ahmadinejad plaudono alla rivolta in corso in Egitto, certamente non allentano il pugno di ferro ed i giovani iraniani, già abbandonati da Obama, non possono illudersi più di tanto. Francesco Battistini, sul Corriere, scrive che i beduini, da sempre fedeli al regime hascemita giordano, stanno protestando, per ora soprattutto contro la regina palestinese, bella ricca e impicciona. Potrebbe essere lei la rovina del re, per ora amato dai sudditi, ma già costretto a cambiare il governo; come con Ben Alì e Mubarak, anche in Giordania il ruolo delle donne dei capi potrebbe rivelarsi funesto per i regimi. Sempre sul Corriere una breve annuncia che il prossimo mese di luglio potrebbe vedere le elezioni amministrative in Cisgiordania, fin da ora rifiutate da Hamas nella striscia. Avvenire dedica un articolo alla difesa antimissilistica di Israele: il sistema Iron Dome, che costerà 450milioni di dollari, dovrà proteggere il territorio israeliano dai razzi a corta gittata, ma il fatto di impiegare “solo” 15 secondi per accorgersi del lancio di un razzo, fare l’analisi della sua traiettoria e partire, potrebbe essere di scarso aiuto nei casi dei razzi sparati dal confine che in 10-14 secondi arrivano sull’obiettivo. Pure il costo (50000 dollari ogni unità per bloccare razzi che costano 500 dollari) è un grave handicap. Dopo questo sistema verranno messi a punto nei prossimi anni Arrow 2, che dovrà bloccare i razzi balistici, e Magic Wand, che dovrà fermare i razzi intermedi costruiti in Iran. Per i sostenitori dell’esistenza di un islam tranquillo e democratico, sempre pronti a menzionare la realtà indonesiana, sarà opportuna la lettura dell’articolo di Cecilia Zecchinelli sul Corriere: dopo la condanna a solo 5 anni di un cristiano che aveva preso in giro dei simboli islamici, la folla, che avrebbe voluto la condanna a morte, ha incendiato due chiese, e ha distrutto molte altre strutture cristiane, senza fermarsi neppure di fronte alla violenza contro le persone; sarà presto il momento di rivedere il concetto di un’Indonesia islamica (237 milioni di persone, per l’86 per cento islamiche) e anche democratica.

Emanuel Segre Amar
9 febbraio 2011