Voci a confronto

Il discutere su tutto fa parte, da sempre della cultura e della tradizione ebraica. Anche sulle vituperate “colonie” si discute, e sono da qualcuno considerate responsabili dell’impossibilità di pervenire alla pace coi nostri vicini. Dobbiamo tuttavia fare attenzione quando questo discorso va troppo in là e arriva a giustificare l’ingiustificabile; i piccoli Fogel erano solo “coloni” per troppi odiatori di Israele: coloni? (Mentre sul Los Angeles Times questa orribile strage rientra nel “ciclo di violenza”, come scritto nel sottotitolo). E, su Le Monde, già nel titolo a commento della bomba esplosa a Gerusalemme, quasi a giustificazione(?), si scrive che il bus colpito si dirigeva verso una colonia. E’ forse significativo dove era diretto il bus colpito? Quando poi si sa che il bus era diretto a har Homà (Gerusalemme), e che quindi la pretesa “giustificazione, oltre che vergognosa e immorale, è oltretutto anche inventata di sana pianta, tutto diventa più chiaro e più grave.
Altra notizia della settimana appena trascorsa, sulla quale desidero attirare l’attenzione dei lettori, è la scomparsa di Elisabeth Taylor; molti sanno che era ebrea (non per nascita, ma per conversione), ma pochi, forse, sanno che nel 1975 protestò con l’allora segretario dell’ONU Waldheim per la infame risoluzione che equiparava il sionismo al razzismo, e che nel 1976 si offrì di diventare ostaggio dei terroristi palestinesi e della banda Baader Meinhof in cambio degli ebrei fatti prigionieri ad Entebbe. Questo fece sì che i suoi films fossero proibiti nei paesi arabi.
Restando nel tema dell’antisemitismo, suggerisco la lettura di Alan Dershowitz sul Wall Street Journal Europe; il noto scrittore e professore di Harvard non ha potuto parlare nelle università norvegesi che, recentemente, avevano invece aperto le proprie porte a personaggi come Ilan Pappe; nell’articolo si trovano le gravi espressioni contro personaggi, attaccati in quanto ebrei, fatte da politici come primi ministri e ministri degli esteri della Norvegia che non possono non far tornare alla mente le gravi colpe dei norvegesi sia durante la Seconda guerra mondiale, sia negli anni successivi quando tutto doveva sembrare ammesso in quelle terre scandinave solo perché commesso da corretti governi socialisti. Su La Stampa, in coda ad un’intervista di Elena Loewenthal ad Amos Oz che spiega le ragioni che lo hanno spinto a donare una copia del suo ultimo libro all’ergastolano Barghouti (gli sarà stato consegnato? si chiede lo scrittore), vi è una breve che parla del decreto di espulsione contro un libraio palestinese la cui libreria, di fronte all’American Colony di Gerusalemme, è meta di lettori che cercano ogni genere di libri sul conflitto israelo-palestinese. Ma per capire quanto succede realmente bisogna leggere Battistini sul Corriere: anche in Israele chi ha un semplice visto turistico non è autorizzato a risiedere e a lavorare senza limiti di tempo; ma in Israele, a differenza che in tante altre nazioni, vi è anche una commissione incaricata di esaminare i casi particolari. Si dovrà dunque attendere la decisione di questa commissione, e certo male ha fatto il quotidiano torinese, a differenza del cugino milanese, a non spiegarlo. Che qualcosa di nuovo si stia preparando nel conflitto che oppone Israele ai Palestinesi lo dice chiaramente l’Herald Tribune in un articolo di Bernard Avishal; Obama “non può” appoggiare l’occupazione della Palestina, affermazione questa fatta senza molte spiegazioni per farla apparire scontata, e si preparerebbe a nuove pressioni, e forse anche ad una visita a Gerusalemme ed a Ramallah. Ma Abbas appare al momento debole per far accettare alcunché che non sia la totalità delle sue pretese, mentre in Israele le posizioni della maggioranza non sembrano differire molto da quelle dell’odiato Primo Ministro. In simili circostanze, che cosa potrà ottenere Obama, col poco tempo a sua disposizione, e magari con l’aiuto della poco rappresentativa Lady Ashton? Sullo stesso argomento scrive oggi un articolo su Rinascita Matteo Bernabei; anche oggi questo quotidiano non si smentisce, visto che arriva a parlare delle “nefandezze che saranno compiute” dagli israeliani nei confronti dei Palestinesi (che non hanno nessuna colpa, ovviamente). La democraticità di Rinascita è assicurata dal citare le parole di “un esponente del Ministero degli esteri di Tel Aviv (non potrebbero scrivere israeliano, se Gerusalemme è tanto indigesta?) retto da un colono radicale”. Ancora da Israele molti giornali parlano della nomina del nuovo capo dello Shin Beth, i servizi di sicurezza interna; sul Figaro, in particolare, si parla delle pressioni che la destra religiosa avrebbe fatto su Netanyahu perché fosse nominato comandante chi ne era il vice capo, Yoram Cohen, ma in un tema come questo non è certo possibile avere certezze. Interessanti, sul Foglio, due editoriali: il primo afferma che Hillary Clinton ed altre eminenti personalità assicurano ad Assad che non faranno a lui quanto hanno fatto a Gheddafi. E’ il risultato della protezione assicurata al rais siriano dalla Arabia Saudita, dopo che Hariri, suo alleato, è stato sconfitto da Hezbollah (e quindi il re saudita ha dovuto cambiare cavallo in corsa, anche se, magari, solo per un breve periodo); l’ondivago Obama, dopo aver riallacciato le relazioni diplomatiche con la Siria, nel giro di pochi mesi si è parzialmente ricreduto ed ha confermato le sanzioni economiche imposte da Bush. Come ricorda Simone Verde su Europa, anche Sarkozy, primo capo di stato a compiere una visita di stato a Damasco dopo le accuse per l’affaire Hariri, e ospitante il dittatore siriano addirittura durante le celebrazioni del 14 luglio, è oggi costretto a non pronunciarsi sulle uccisioni che avvengono in Siria, in netto contrasto col suo comportamento di fronte agli avvenimenti libici. In un secondo editoriale il Foglio lancia un grido di allarme su chi siano davvero i ribelli della Cirenaica: negli altri paesi del Medio Oriente dove si scatena Al Qaeda, dopo l’Arabia Saudita la Libia appare essere il paese che fornisce il maggior numero di terroristi vicini a Bin Laden. E questo traspare anche da alcune dichiarazioni, seppur come sempre contraddittorie, di Gheddafi. La lettura di questo editoriale è comunque interessante perché solleva molti veli per spiegare avvenimenti del recente passato che erano apparsi incomprensibili. Tiziana Barrucci firma un articolo su Europa per illustrare le votazioni che si terranno in Arabia Saudita in settembre; scrive che le donne non avranno diritto di voto, ma avrebbe fatto bene a ricordare che, nel nostro paese, solo nel 1945 il diritto di voto è stato concesso alle donne (e solo nel 1912 a tutti gli uomini). Censurare è giusto, ma bisogna avere l’onestà di dire tutte le verità, anche quelle scomode. Ed altre verità sono taciute anche nell’articolo firmato da uno scienziato sociale arabo e da uno storico ebreo americano per l’Herald Tribune anche gli arabi devono studiare la Shoah. Purtroppo, ancora pochi giorni fa Hamas si è duramente opposta alla richiesta in tal senso fatta dall’UNRWA. Ma, va detto, il problema non è limitato ai bambini della Striscia, ma si estende a tutta la società araba, se nelle televisioni locali una presentatrice può assicurare di non aver mai sentito parlare di 6 milioni di morti! 30.000 è la cifra più comunemente detta… Se poi si pensa che oggi anche un parlamentare socialista norvegese si unisce alla schiera dei negazionisti, viene da chiedersi se tutto l’approccio al problema non debba essere attentamente rivisto. A mio modesto parere scrivere, come fa l’Herald Tribune, che oggi lo studio della Shoah sia realizzabile nel mondo islamico perché avrebbe approvato le leggi universali della democrazia, non porta alcun contributo ad una soluzione del problema.
Emanuel Segre Amar
31 marzo 2011