macellazione…

Il dieci di Nisan, la data di ieri, ricorda il giorno in cui agli ebrei in Egitto fu ordinato di prendere un agnello o capretto per ogni famiglia, da sacrificare alla vigilia di Pesach. Era un gesto di clamorosa rottura con il mondo circostante, che aborriva i pastori e i loro usi e non si cibava di carne (ma riduceva gli uomini in schiavitù). Il Pesach (nel senso originario di sacrifico pasquale), simbolo della liberazione dall’Egitto, nasce come una rivendicazione culturale-religiosa in totale opposizione alla mentalità corrente, in modo assolutamente non “politically correct”. In questi giorni il parlamento olandese discute una legge per imporre il cosiddetto “stordimento” (colpo di pistola, gassazione, scarica elettrica) prima della macellazione rituale, proibendo di fatto la shechità. La richiesta nasce dalla convergenza di concezioni animaliste e politiche xenofobe, con l’intenzione apparente di colpire i musulmani; ma la loro macellazione non ha le stesse attenzioni antidolorifiche della nostra shechità e la maggioranza dei musulmani accetta lo “stordimento”. Per cui la proibizione è solo una misura antiebraica. La grave decisione non avrà solo un impatto locale, il rischio è che si scateni un effetto domino di imitazione in altri paesi europei. Dal punto di vista scientifico la dimostrazione che la shechità sia più dolorosa dello “stordimento” non c’è, il problema è controverso, e la discussione verte su pochi secondi di maggiore o minore coscienza. Ma per gli animalisti non c’è discussione, solo certezza. E per gli ebrei, ammesso e non concesso che si riesca a dimostrare questa presunta maggiore sofferenza, le cose non cambierebbero, al massimo si diventerebbe tutti vegetariani (qualcuno in effetti la pensa già così). L’antico modello biblico del Pesach, che riportiamo alla memoria in questi giorni, dimostra come in questa discussione la scienza c’entri solo marginalmente e che ci si trovi di fronte a un vero e proprio scontro di culture, o se si vuole, a una guerra di religioni.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma