Ebraismo e democrazia

Per contingenze storiche a mio giudizio ancora riferibili a quel trauma tutt’affatto elaborato che è stato l’11 settembre 2001, da più parti si levano in questi mesi attacchi alla ritualità ebraica, rea di contraddire il dogma, che come tutti i dogmi a volte non fa mancare di palesare la sua astrattezza, dei principi universali, dapprima riguardanti l’uomo, poi estesi, con coerenza logica ed etica, al mondo animale. È il caso della messa in questione della milà in Germania o della macellazione rituale in Olanda, cui è stata dedicata attenzione anche su queste pagine. Come tutti, sono anch’io turbato da questi attacchi, soprattutto perché, vivendo questo periodo storico, so bene su quale china ideologica si pongano. Ed in aggiunta, come ebreo, le polemiche non possono che farmi venire in mente film già visti (penso, tra l’altro, che al fine di sviluppare un’etica interdipendente fra l’ebraismo della diaspora e Israele sarebbe un giorno fruttuoso meditare su queste paure comuni che diffondono la percezione dell’ebreo della galut come straniero in terra straniera e di Israele uno Stato straniero in una terra non propria). Credo, però, che bisogna stare attenti a far passare il messaggio che questi episodi rinviino ad un’incompatibilità fra democrazia occidentale e tradizione ebraica, sulla scia dell’operazione che si sta compiendo, non so quanto propriamente, con il mondo islamico. L’Occidente, anche se avrà uno sviluppo proprio segnato in modo indelebile dal cristianesimo, nasce con l’identità israelita, che per prima individua diritti trasversali ai diversi popoli. È l’ebraismo a sostituire ad un limite etnico, con mera funzione di principio d’ordine, un limite di natura morale, valido in tutti i contesti politico-culturali. Sarà poi una forma di universalismo astratto, incarnato di volta in volta dal cristianesimo, dall’illuminismo e dal marxismo ad estendere questo limite all’infinito senza contare le conseguenze degenerative di un simile gesto. I problemi oggi postici rinviano, a mio giudizio, ad una ridefinizione del limite normativo e sono del tutto affrontabili attraverso il dibattito halakhico che caratterizza la tradizione di Israele. Non dobbiamo farci imporre il dibattito da nessuno, semmai mostrare come queste domande abbiano inizio anzitutto con noi.
Secondo la mia sensibilità, per dare più forza alla nostra voce, sarebbe auspicabile che a questo dibattito partecipassero tutti gli ebrei di “buona volontà”, anche coloro che una “riforma” la invocano da tempo anticipando proprio quelle mosse che la politica oggi sembra compiere. Non vorrei arrivasse un giorno qualcuno (ed il vento in Europa comincia a portare notizie sinistre, dall’Ungheria, alla Francia, all’Olanda, alla Svezia, alla Danimarca, fino alle proposte di abolizione delle leggi che vietano la ricostituzione del partito fascista) che ci ricordasse che siamo tutti ebrei alla stessa maniera.

Davide Assael, ricercatore