Voci a confronto

Proprio mentre questa rassegna viene scritta, al Cairo, grazie al lavoro dei nuovi capi, si festeggia la pace (pace?) tra i cosiddetti moderati di Fatah e gli estremisti di Hamas. Sapendo, purtroppo, come vanno le cose, non ci illudiamo che il mondo arrivi a comprendere che questo è il passo decisivo per vedere anche la Cisgiordania sotto il controllo di Hamas, e l’Egitto, una volta che avrà aperto le frontiere di Rafah, stretto alleato di coloro che l’Occidente ha etichettato come terroristi. Non lo comprenderà il mondo, come non lo comprenderà Sergio Romano, che ritorna sull’argomento del Medio Oriente rispondendo a precise osservazioni del lettore Franco Cohen; per l’ex ambasciatore, nonché storico, le colpe saranno sempre e comunque da imputare ad Israele, a cominciare da quella (da lui dichiarata, ma non provata) di aver incoraggiato la nascita di Hamas per indebolire il laico Arafat. Ancora più paradossale la seconda accusa mossa da Romano ad Israele: avrebbe dovuto isolare gli estremisti di Gaza dal resto della popolazione, secondo il ben noto principio che la colpa è sempre e comunque della vittima (ndr). L’opinionista del Corriere scrive inoltre che Israele avrebbe dovuto dare a Mahmoud Abbas un segno tangibile della sua disponibilità al negoziato (dimenticando, tra l’altro, i dieci mesi di blocco di tutte le costruzioni, lasciati trascorrere senza reazione alcuna proprio da Abbas), e la possibilità di vantare positivi risultati (dimenticando che proprio il primo ministro Fayyad, che risultati positivi ottenne anche con la collaborazione concreta di Israele, viene ora messo da parte dopo la firma della pace tra Fatah e Hamas). Romano prosegue con le sue fantasie scrivendo che gli insediamenti sarebbero stati autorizzati e finanziati soprattutto dopo il ritorno al potere di Netanyahu. In conclusione della risposta al lettore di Romano si apprende che, tra le fonti privilegiate delle sue informazioni, c’è il Centro Italiano per la pace in Medio Oriente, ovvero quel Cingoli che, neppure dopo il coinvolgimento di Hamas nella gestione della Palestina, non ammetterà mai che la pace non è possibile per Israele. Un altro “pacifista” nonostante tutto è intervistato oggi da Leonetta Bentivoglio su Repubblica: è il grande direttore Daniel Barenboim, che ha formato una orchestra composta per il 40% di musicisti israeliani, per un altro 40% di musicisti arabi, e per il rimanente 20% di andalusi, in ricordo di un’antica coesistenza pacifica di islamici ed ebrei in terra di Spagna. Ma, come riconosce Barenboim, nonostante la coesistenza musicale, anche all’interno della sua orchestra le discussioni politiche tra i diversi schieramenti sono spesso durissime. Se poi Barenboim dirige a Gaza (come ha fatto ieri, come è puntualmente ripreso dal Messaggero) un’orchestra di musicisti dei principali complessi europei, accompagnato dalle parole delle delegazioni politiche che si sono riunite al Cairo per la storica firma, non vi possono più essere dubbi su dove batta il cuore di questo artista che possiede, oltre ad un passaporto argentino, anche le cittadinanze israeliana e palestinese (ovvero di uno stato non ancora formalmente nato). Certamente ancora più estremista della sua è la posizione del parlamentare arabo israeliano Ibrahim Sarsoor che accusa duramente Obama per l’assassinio dello “sceicco” Bin Laden, arrivando a mandare all’inferno il presidente americano; ne parla Meotti sul Foglio, aggiungendo che tra i firmatari del Cairo vi è anche Ramadan Shaleh, leader della Jihad Islamica Palestinese, a dimostrazione del prepotente ingresso dell’Iran, suo mentore, tra i futuri padroni anche delle terre di Giudea e Samaria. Le parole di Meotti dovrebbero restare impresse nella mente di coloro che, nei prossimi giorni, cercheranno presumibilmente di imporre a Netanyahu condizioni inaccettabili per il popolo di Israele. Nella stampa estera le parole non sono di sicuro sempre molto più favorevoli ad Israele: sul Financial Times troviamo un editoriale che, analizzando in modo superficiale quanto avviene tra israeliani e palestinesi, addebita a Netanyahu tutte le colpe, perfino quella che vide Arafat non accettare nel 2000 i suggerimenti di Clinton; nello stesso quotidiano Tobias Buck firma un altro articolo nel quale, giustamente, sottolinea che unire Hamas a Fatah è semplice a dirsi, ma difficile a farsi. Altro personaggio oggi sotto la luce dei riflettori è Meshal, il leader palestinese da anni sotto la protezione di Assad a Damasco: egli, come si legge sull’Herald Tribune, nega di volersi trasferire a Doha, ma rifiuta di pronunciarsi su quanto sta avvenendo in Siria, indifferente agli oltre 500 morti che già sono stati là registrati. E di questo suo silenzio non sarà riconoscente Assad che afferma che chi non è con lui è contro di lui. Continuano, ovviamente, sui quotidiani di oggi, i commenti all’uccisione di Bin Laden, anche se non sembra che, al momento, in questi ci siano elementi di novità; bisognerà comunque vedere come gli USA si muoveranno, nel prossimo futuro, in Afghanistan: continueranno la lotta o si ritireranno in fretta, giudicando la guerra contro il fondamentalismo conclusa? Al sottoscritto sembra, tra i tanti articoli di oggi, criticabile quello di Bernardo Valli che, su Repubblica, scrive che al Qaeda sarebbe stata sconfitta dalla primavera araba che avrebbe visto vincitori Wael Ghonim e gli altri giovani scesi nella piazza Tahrir; è davvero sicuro Valli di vedere correttamente quanto sta avvenendo in Medio Oriente? E si è accorto che i Fratelli Musulmani sono sicuri di raccogliere almeno il 50% dei voti nelle prossime elezioni egiziane?
Infine è da ricordare l’articolo pubblicato dal Messaggero, che in realtà ne ricalca uno che si trova sull’Herald Tribune, nel quale si porta a conoscenza del mondo intero che si sta lavorando, tramite un archivio on line, per recuperare beni sottratti agli ebrei durante il periodo delle persecuzioni nazi-fasciste; primo compito di questa impresa titanica è l’individuazione dei beni e dei primi proprietari; come si legge, alcuni beni stanno già tornando ai discendenti di chi quei beni possedette prima di essere trucidato.
Emanuel Segre Amar