Qui Venezia – Shimon Peres alla Comunità: “Condividete con noi speranza e ottimismo”
Un momento storico per la Comunità Ebraica di Venezia, che venerdì sera, subito prima di shabbat, ha accolto il presidente di Israele Shimon Peres nel centro comunitario in Ghetto. Per l’occasione la sala Montefiore, gremita di persone, è stata addobbata a festa, con composizioni di fiori bianchi e sullo sfondo le bandiere dell’Italia e di Israele. Presenti tra il pubblico anche alcune autorità della Regione Veneto: l’assessore alle politiche di bilancio, Roberto Ciambetti, il consigliere diplomatico, Stefano Beltrame, e il responsabile segreteria dell’assessorato alle politiche di bilancio, Antonio Franzina. Presente anche il consigliere dell’Unione della Comunità Ebraiche Italiane, Riccardo Hofmann, e il presidente della Comunità ebraica di Padova, Davide Romanin Jacur.
Imponente l’apparato di sicurezza per il leader israeliano: gli uomini della security personale l’hanno seguito per l’intera visita, coadiuvati dagli agenti delle forze dell’ordine italiane che hanno presidiato la zona con uno dispiegamento di forze straordinario. Misure di sicurezza eccezionali anche per quanto riguarda l’accesso acqueo, con il blocco dei vaporetti nel canale di Cannaregio e della fermata alle Guglie nelle vicinanze dell’entrata al Ghetto. Al suo arrivo in motoscafo il presidente è stato ricevuto sulla riva dai due vicepresidenti della Comunità ebraica, Corrado Calimani e Mario Gesuà Sive Salvadori, per poi essere scortato subito alla sede comunitaria, dove ad attenderlo ha trovato il presidente della Comunità Amos Luzzatto, con cui aveva già avuto modo di confrontarsi nella mattinata in un incontro privato al padiglione israeliano della Biennale in occasione della cerimonia di apertura.
In una sala Montefiore blindatissima l’ambasciatore di Israele in Italia, Gideon Meir ha introdotto, con un breve discorso, l’intervento di Shimon Peres, ricordando l’accoglienza particolare che gli viene riservata ogni volta che passa per Venezia: “Non è un segreto che la vostra Comunità di Venezia sia una delle Comunità che io amo visitare di più, dove trovo sempre una accoglienza calorosa e un profondo legame con lo Stato di Israele. La visita di oggi è però una visita particolare, speciale, perché per la prima volta un presidente israeliano fa visita alla vostra antica Comunità”. Parlando del presidente Peres, l’ambasciatore ha voluto inoltre ribadire l’importanza della figura di Peres nella promozione dello Stato di Israele nel mondo: “ Il presidente di Israele, Shimon Peres, è uno dei più stimati e rispettati in Israele e nel mondo e con la sua personalità rappresenta tutto ciò che c’è di meglio e di più bello nel popolo ebraico e nello Stato di Israele”.
Pubblichiamo di seguito il testo integrale dei discorsi del presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, e del presidente della Comunità ebraica di Venezia, Amos Luzzatto.
Sono commosso di essere qui a Venezia e di fare visita a questa Comunità così antica che risale all’epoca in cui gli ebrei vivevano nel Ghetto. Bisogna dire in questo caso che si possono vivere due tipi di vita: la vita nel Ghetto o in un paese libero. La differenza principale è che in un Ghetto si vive come in una metropolitan: chi è seduto dentro, siccome non ci sono i finestrini non può vedere fuori e chi è fuori non può vedere dentro. Ora è arrivato il momento in cui si viaggia in autobus e questa visione da una parte e dall’altra c’è. Anche venire a Venezia è come un viaggio in autobus perché finalmente attraverso il padiglione della Biennale le persone possono vedere cosa sta succedendo in questo momento in Israele e io posso invece vedere Venezia in piena luce.
Quello che vedo è sorprendente, adesso vi dirò perché. Nei suoi 63 anni di esistenza lo Stato di Israele ha fatto cose che possono sembrare impossibili. Lo abbiamo fatto per difendere il nostro popolo. Siamo stati attaccati da 40 milioni di persone mentre noi eravamo solo 650 mila, siamo stati attaccati da sette eserciti quando noi non avevamo ancora nessun esercito, non avevamo né i fucili né le armi pesanti con le quali si combattono le guerre. Eravamo un piccolo paese e un piccolo popolo, ma siamo riusciti a vincere. Siamo stati attaccati sette volte e siamo sempre stati in inferiorità numerica e in inferiorità bellica, ma per noi non era possibile perdere la guerra e per questo non l’abbiamo persa. Queste esperienze di cui vi ho parlato hanno naturalmente a che fare con la fama dell’esercito israeliano e di Ben Gurion, fondatore dello Stato di Israele, che accettava come complimento il fatto che non si sa se l’esercito israeliano è il migliore del mondo, ma non c’è al mondo un esercito migliore di quello di Israele.
La stessa cosa è successa con la nostra economia. Non abbiamo terra, siamo un paese piccolo, non abbiamo acqua, possediamo solo due laghi, uno morto e uno morente e comunque la nostra agricoltura è la migliore del mondo e quest’anno siamo riusciti a esportare in Russia qualcosa come due milioni di dollari di carote, avocadi in Francia, esportiamo fiori nel Regno Unito e questo dimostra che per un’agricoltura fiorente non c’è bisogno né di terra né di acqua, ma di persone giuste e delle tecnologie giuste. Riguardo alla tecnologia abbiamo uno dei settori di Hi-tech più sviluppati del mondo in particolare in alcuni campi come ad esempio in campo medico dove il 50 per cento delle attrezzature impiegate sono state inventate o prodotte in Israele.
Non avrei mai potuto immaginare che Israele avrebbe raggiunto un posto così prominente anche nel campo della musica, del cinema e delle arti figurative. È la seconda volta che Israele ottiene riconoscimenti importanti o risultati importanti alla Biennale. Due anni fa abbiamo vinto un premio in occasione della Biennale architettura e quest’anno c’è un artista straordinaria che sta cercando di creare sculture di sale dal sale del Mar Morto. Mai avrei inoltre immaginato che Israele potesse arrivare a un tale livello artistico anche nella cinematografia. Sappiamo che negli Stati Uniti ci sono stati registi e produttori ebrei che hanno avviato l’industria cinematografica. E se ci sono due cose veramente importanti negli Stati Uniti, una è la costituzione dove effettivamente gli ebrei non hanno avuto un ruolo, mentre nella seconda, il sogno americano, lo hanno avuto eccome.
Gli ebrei hanno avviato l’industria cinematografica che ha dato corpo a questi sogni, come produttori e come registi. Non pensavo che questo si sarebbe potuto trasferire anche in Israele perché di solito il lieto fine non è il nostro forte. Invece solo negli ultimi mesi abbiamo avuto tre riconoscimenti importantissimi nel campo cinematografico. Una città piccola come Tel Aviv ha un tasso di presenze artistiche che fa invidia a quello di New York ed è passata da essere una città di provincia a un centro che è capace di attirare questo tipo di energie. C’è una cosa che ci manca ed è la pace. Credo che quando la pace arriverà il talento individuale, il talento collettivo, il talento di chi si impegna anche a livello nazionale, potrà continuare a crescere. Perché si possa raggiungere questa pace siamo pronti a pagare il prezzo e tale prezzo sarà la coesistenza di due Stati indipendenti. Lo Stato di Palestina diventerà un buon vicino dello Stato di Israele. Si imparerà ad essere buoni vicini e ognuno potrà ottenere i risultati migliori nel proprio campo, nel proprio territorio come già oggi si comincia a vedere nella West Bank.
Sono accusato spesso in Israele di essere troppo ottimista, ma quando si hanno 88 anni si ha la licenza di essere ottimisti. Ricordo quando non avevamo munizioni per difendere il paese, ricordo anche quando non avevamo il pane o la carne. Ho vissuto per tanti anni in un kibbutz e ho mangiato per dieci anni moltissime melanzane non è quindi un caso che quando vengo a Venezia l’unico cibo che non voglio assaggiare sono le melanzane. Ricordo anche quando non avevamo il denaro per pagare i nostri debiti. Adesso invece mi trovo all’improvviso in un paese ricco anche se nessuno ci ha aiutato nessuno da questo punto di vista. Abbiamo noi benedetto la nostra terra più di quanto essa ha benedetto noi. Quindi perché non devo essere ottimista! Abbiamo ottenuto risultati incredibili, io ho lavorato con Ben Gurion che è stato il più grande capo di Stato di Israele dopo Mosè. Spesso quando parlo di lui mi chiedono: ma è possibile che non hai qualche critica da fare a Ben Gurion? E allora dico di sì. Che in effetti quando ha cominciato a formulare il sogno di uno Stato ebraico sembrava un’aspirazione troppo grande e invece l’unica critica che io ho da rivolgergli è che adesso, guardando indietro, quel sogno mi sembra troppo piccolo. Quindi non solo abbiamo l’obbligo di pregare, ma abbiamo il diritto di sognare su vasta scala. Credo che raggiungeremo anche la pace perché è un bisogno per i palestinesi e per gli israeliani. Loro stanno pagando un costo altissimo e noi stiamo pagando un costo altrettanto alto. Non c’è alternativa alla pace.
Così quando mi accusano di essere troppo ottimista dico che i pessimisti e gli ottimisti muoiono nello stesso modo, ma vivono in modo molto diverso. E allora tra le due cose preferisco vivere da ottimista anche perché arrivati al giudizio finale si hanno maggiori probabilità di successo perché sono gli ottimisti quelli che saranno premiati. Così sono venuto qui di venerdì sera, invitandovi a condividere con noi un po’ di speranza e ottimismo. Abbiamo fatto grandi cose e ne faremo ancora in futuro. Vi ringrazio.
Shimon Peres, Presidente dello Stato di Israele
Signor Presidente,
sono onorato e felice di darle il benvenuto in questa Comunità, dove purtroppo nel lontano 1516 è stata coniata per la prima volta la parola “Ghetto”. Parola che era destinata ad avere un significato tragico, di isolamento, di perdita di diritti umani, di sterminio. E tuttavia gli ebrei sono vissuti per generazioni in questo limitato territorio, dando vita a una fusione di coloro che provenivano dalla Germania, come i miei antenati, con gli italiani, i sefarditi, i levantini, nel corpo unico di una Comunità che usava la lingua ebraica non meno dell’italiana, forse più precisamente, della parlata veneziana. In questo spazio angusto hanno eretto le loro Sinagoghe, hanno fondato le loro Scuole, raccolto libri e manoscritti e più volte ospitato gli shelichèy Eretz ha-qodesh, i messi dalla Terra dei Padri, che raccoglievano offerte e mantenevano i contatti con i klalim, le collettività ebraiche di Erez Israel.
Oggi siamo rimasti poco più di 450, ma la maggior parte di noi ha pezzi di famiglia in Israele; mi è già successo di sentirmi chiamare in ebraico per le strade di Gerusalemme e accorgermi che mi stava chiamando un ebreo veneziano. Il nostro legame con Israele è solido e sentito. È questo legame che dà contenuto e significato alla nostra identità ebraica, è quello che si traduce nella speranza di poter presto vedere uno Stato ebraico in rapporti di pace operosa con tutti i suoi vicini. Noi operiamo nei nostri rapporti con la nostra opinione pubblica, con il nostro mondo politico, nelle stesse istanze di dialogo interreligioso, per far conoscere i tesori di pensiero, di ricerca scientifica, di arte visiva, di musica, che Israele possiede e sviluppa e dei quali potrebbero usufruire tutti coloro che solo lo volessero.
Sappiamo quanto Lei personalmente abbia fatto a favore della pace, per promuovere un nuovo Medio Oriente, per usare le Sue stesse parole, ancor prima di diventare il Capo dello Stato di Israele. E sappiamo, anche per conoscenza diretta, quanto delle sue preoccupazioni e dei suoi contributi in questa direzione siano conosciuti e condivisi anche dal Capo dello Stato italiano, Giorgio Napolitano, da sempre amico sincero degli ebrei.
La sua visita è oggi un atto di apprezzamento per Venezia città d’arte, quell’arte che è un ponte fra i due Paesi. È anche qualcosa di più: è una scelta. Esistono fra i popoli molte forme di linguaggio. È sempre esistito sfortunatamente il linguaggio della guerra e della violenza, il linguaggio del disprezzo e della discriminazione e certamente anche quello della diffamazione e del rifiuto. Noi intendiamo alzare alto il linguaggio della cultura e dell’amicizia fra le genti, che è stato il linguaggio dei nostri Profeti e il sogno bimillenario della nostra gente. Riceva questo nostro augurio, questo nostro sentimento, questo nostro impegno.
A Lei e a tutto il popolo in Israele il nostro augurio in ebraico: chazaq ve-ematz.
Amos Luzzatto, presidente della Comunità ebraica di Venezia