Cultura e calorie

“In questa lezione studieremo un passo della Mishnà che tutti voi conoscete a memoria da quando avete tre anni”. La mia famiglia si era appena trasferita a Roma e l’annuncio dell’oratore (mi pare fosse Rav Di Segni) mi getta nel panico: “Aiuto, il livello di questo convegno è troppo alto per me; il mio snobismo torinese è davvero ingiustificato: qui studiano Mishnà da quando hanno tre anni!” Guardandomi intorno, però, mi rendo conto che tutti gli altri appaiono altrettanto preoccupati. Cominciano a distribuire le fotocopie e ci rendiamo conto che in effetti non conosciamo quel passo da quando avevamo tre anni, ma forse già da quando ne avevamo due: è Ma Nishatanà.
Probabilmente il Rav voleva dimostrare che lo studio non deve essere solo per “addetti ai lavori”. Ripensandoci a molti anni di distanza ne ricavo anche un altro insegnamento: un passo della Mishnà, anche se diventa una canzoncina intonata da un bambino di due o tre anni nel corso di una festa, rimane sempre un passo della Mishnà. L’occasione conviviale e l’allegria non implicano necessariamente un basso livello culturale. Per questo nel dibattito elettorale e post elettorale torinese mi sono parsi ingenerosi alcuni giudizi sulle attività culturali comunitarie dell’ultimo quadriennio: è necessariamente di basso livello un gruppo di donne che discute sulla parashà della settimana davanti a una bibita e a una fetta di torta? E’ poco seria una cena di Shavuot in cui si spiegano le usanze della festa e si commenta il libro di Rut? Personalmente ritengo che il livello culturale delle attività non sia per forza inversamente proporzionale alle calorie ingerite durante il loro svolgimento.

Anna Segre, insegnante