Voci a confronto

Le ultime giornate sono state prive di grandi avvenimenti sulla scena del Medio Oriente. Le visite di ieri di Putin a Parigi e del premier Erdogan a Washington avranno tuttavia importanti conseguenze che non tarderanno a farsi sentire. Sui rapporti molto tesi tra Israele e Turchia stanno lavorando dietro le quinte gli Stati Uniti, e un primo segnale viene dalla annunciata non partecipazione della Mavi Marmara turca alla spedizione Flotilla 2. Nicola Mirenzi su Europa ne parla, dimenticando, purtroppo, che le relazioni tra i due paesi, a lungo alleati, divennero difficili non dopo i 9 morti della Mavi Marmara, ma dopo lo scontro tra Erdogan e Peres a Davos in seguito alla guerra di Gaza. E’ quanto meno plausibile che, dopo questo nuovo incontro tra Obama ed Erdogan, la diplomazia trovi il modo di ricucire i rapporti tra Israele e Turchia. Gli USA, per portare avanti la loro politica medio orientale, non possono vedere questi suoi due alleati strategici in dichiarato contrasto tra loro. Più complessa appare la posizione della Francia che non riesce ad allontanare la Russia da consolidate posizioni strategiche in una Siria, politicamente indifendibile per noi occidentali, ma non per chi privilegia altri valori. Ne consegue che Assad potrà continuare la propria politica in spregio delle semplici parole di condanna di un Occidente incapace di essere davvero efficace in Medio Oriente. Addirittura, come scrive Massimo Gaggi sul Corriere, la NATO vede i militari inglesi in contrasto col loro governo, Obama in difficoltà con un Congresso che non ha mai approvato l’intervento USA, mentre le munizioni a disposizione per condurre la guerra libica stanno avvicinandosi alla fine. Da seguire, per quanto riguarda la Libia, il tentativo di David Gerbi, un ebreo libico fuggito in Italia nel ‘67, che sta ora cercando di creare una testa di ponte tra Israele ed i ribelli libici; se riuscisse questo tentativo, del quale parla il Riformista, si aprirebbe, per la prima volta, una collaborazione di estrema importanza strategica per tutto il Medio Oriente. Di segno diametralmente opposto è l’intervista fatta dal Manifesto a Robert Fisk, in questi giorni a Roma; per il giornalista e storico americano al Qaeda, oramai sconfitta da tempo, non avrebbe avuto nessun ruolo nella rivoluzione egiziana, e, nello stesso modo, i partiti islamisti sarebbero stati assenti dalla piazza. Fisk arriva poi, in contrasto col parere dei più, ad accusare Obama di avere troppo protetto sia l’ex presidente tunisino Ben Alì, sia Mubarak. Alla fine dell’intervista Fisk definisce anche la fuga dei palestinesi nel ‘48 come “pulizia etnica e catastrofe”; viene davvero da chiedersi come sia possibile concedere ancora tanto credito a questo “storico”. Sempre sulla situazione libica è interessante leggere Igor Cheritich che, sul il Corriere, scrive una attenta analisi sulla convivenza della realtà tribale, dura a morire, con il sentimento nazionale, molto forte soprattutto tra i giovani. Davide Frattini sul Corriere scrive sul futuro del conflitto afghano, dal quale gli americani sono sempre più ansiosi di ritirarsi; anche in questo conflitto le posizioni dei militari sembrano essere diverse da quelle del loro Presidente. Il negoziatore palestinese Zyad Clot, autore del libro “Non ci sarà uno stato palestinese”, rivela i retroscena visti dal punto di vista palestinese; egli si è oramai allontanato dalla politica attiva, dopo essere stato membro della delegazione di Erekat, ma conosce alcuni “palestinian papers” che lo portano alla stupefacente dichiarazione secondo la quale il 15 giugno 2008 Erekat avrebbe offerto tutto ad Israele (Tzipi Livni era ministro degli Esteri), ricevendo stranamente un rifiuto dalla controparte. Chissà quale sarà il suo pensiero dietro alla nuova rottura, al momento totale, tra Anp e Hamas, della quale parla diffusamente Liberal. In questo articolo troviamo, tra l’altro, importanti affermazioni, del genere: “West Bank e Gaza non sono la Palestina sognata dagli arabi”, oppure: “manca il popolo palestinese”. Ancora di segno opposto sono le parole di Michele Giorgio sul Manifesto: “Tel Aviv si prepara alla guerra”, e “Lo stato ebraico si sente insicuro”, sono il titolo ed il sottotitolo che accompagnano un articolo tutto teso a spingere i lettori del quotidiano all’odio nei confronti dello stato ebraico. Per Giorgio oggi Israele si prepara a scatenare una guerra ingiustificata, come ingiustificata lo fu quella scatenata 5 anni fa quando Hezbollah fu costretta a reagire “rispondendo” col lancio dei suoi katiuscia. Il nuovo regolamento dei conti che si sta preparando sarebbe nella mente degli israeliani dal 2006. Davvero non possono essere troppo biasimati coloro che, leggendo quotidianamente simili parole, finiscono poi per credere a certe assurdità. Desidero chiudere questa rassegna con una breve apparsa sul Corriere di oggi: Israele concede l’autorizzazione all’importazione a Gaza dei materiali necessari all’UNRWA per la costruzione di 18 scuole e 1200 abitazioni; peccato soltanto che manchi la spiegazione del perché i governanti israeliani prestino grande attenzione al passaggio di questo genere di materiali, troppo spesso utilizzati poi a fini bellici. Senza simili parole i lettori non possono capire il particolare significato di questa autorizzazione.

Emanuel Segre Amar
22 giugno 2011