Redazione aperta – Giornalismo e valori con rav Carucci

Il vero giornalismo combatte l’inerzia” questo il messaggio di rav Benedetto Carucci emerso durante l’incontro con la Redazione aperta nella sua terza edizione ambientata nella scuola ebraica di Trieste. Così il rabbino e direttore della scuola media e liceo della Comunità ebraica di Roma, approfondisce il tema del ruolo del giornalista, anticipato da una lezione sul rapporto padre e figlio del giorno precedente.
L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la Comunità e le istituzioni devono sostenere una propria visione, l’idea fondante, l’obiettivo ultimo. È dunque necessario che l’apparato politico e religioso indichi una via, pur rischiando che si affermi principio di esclusività, senza coinvolgere l’intera collettività. Così la comunità cresce ogni singolo individuo che ne fa parte, adempiendo alla funzione di padre nei confronti del figlio, trasmettendo le idee più concrete come l’immagine della Torah data da Moshe ed eredità della casa di Giacobbe, ma anche quelle più astratte e spirituali come il primo verso dello Shemah. Il giornalismo no. È un cappello contenente le visioni, idee, inclinazioni, istanze più disparate. È strumento di proposta e riflessione che rompe l’equilibrio circostante e rende quegli stessi principi di cui la comunità si fa portatrice, oggetto di continue discussioni. Grazie al mezzo giornalistico è possibile affrontare i temi più disparati, mostrando più facce delle Comunità italiane, spesso note esclusivamente perché associate al conflitto mediorientale o alla Shoah. Il giornalista è pertanto colui che scatena una reazione, coinvolge gli animi e lo fa, in questo caso, trasmettendo in modo trasversale i valori ebraici. Non c’è spazio per slogan, supposizioni e sillogismi, ma solo per opinioni fondate e concrete, voci gradevoli o non, capaci di generare una qualunque forma di risposta, scacciando l’apatia e l’inerzia. Così parole molto forti, colpiscono i membri della Redazione aperta, generando in loro una riflessione, non solo sul ruolo del giornalista, ma anche sulla funzione che questo deve assumere nei confronti delle Comunità ebraiche. Del resto quegli stessi studenti che con attenzione ascoltano il discorso del rabbino, sono anch’essi lettori e membri di una delle Comunità ebraiche italiane. Anche loro sono cresciuti quindi con quegli insegnamenti e tradizioni, ma al tempo stesso ricercano ogni giorno nella lettura di un giornale elementi nuovi che possano incuriosire e far apprendere qualcosa di nuovo. Pertanto loro stessi dimostrano come il giornalismo sia il mezzo migliore per ampliare la propria visione, aderendo o confutando opinioni diverse dalle proprie. Eppure, sostiene Guido Vitale, direttore del Dipartimento informazione e cultura dell’UCEI, “La preferenza di un giornale da parte di un lettore dipende dalla fiducia che si ha della redazione”. Dunque, il materiale cartaceo è più di un calderone straripante di notizie di ogni genere, ma deve essere un prodotto ben preparato e dosato che rappresenta la volontà di un lettore, di affidarsi alle scelte e alla coscienza di una redazione. Il giornalismo non è quindi solo carta stampata, ma vera azione.

Micol Debash