Voci a confronto
Desidero iniziare questa mia rassegna settimanale andando a rivedere alcuni titoli letti nei giorni scorsi nella stampa americana ed inglese, e che riporto spulciando a caso. Il Christian Science Monitor parla dei “terroristi” avendo cura di usare le virgolette prima e dopo questa parola, che forse non si dovrebbe pronunciare. Per il Daily Telegraph è meglio dimenticare l’attacco terrorista e concentrarsi sul raid israeliano oltre frontiera che ha portato alla sventurata uccisione dei soldati egiziani (su questa azione Israele ha invano invitato il governo egiziano ad indagare insieme ndr). Ancora il Daily Telegraph titola per i suoi lettori che il contrattacco israeliano è stato scatenato dopo una “azione di militanti lungo il confine israeliano”. Il Financial Times ha titolato il primo giorno: 17 uccisi negli attacchi israeliani, e, il giorno successivo, ha messo le due parti insieme sul banco degli accusati titolando: Israele e militanti di Gaza all’attacco. Per lo Scotland on Sunday, Israele “sostiene” che 8 suoi cittadini sarebbero stati uccisi, mentre i morti egiziani vengono dichiarati “certi”, morti quando i soldati israeliani inseguivano “sospetti militanti”. Per il Guardian all’inizio ci sarebbe stato un semplice attraversamento delle frontiere, e successivamente, per voler apparire equidistante, la testata inglese parla di lanci da Gaza (che “atterrano” su Israele) e di attacchi aerei israeliani (che “colpiscono” Gaza). Ancora per il Guardian gli scontri sarebbero avvenuti tra le forze israeliane e sospetti militanti palestinesi. Per la CNN gli attacchi sono stati portati da uomini “presentati da IDF come terroristi” (parola questa rigorosamente tra virgolette). Va anche osservato che al Consiglio di sicurezza non è stato possibile emettere alcuna sentenza di condanna dal momento che il Libano, che attualmente “rappresenta” il blocco arabo, e che, non dimentichiamolo, è oramai dominato da Hezbollah, ha preteso che non si poteva parlare di attacco terrorista (che quindi sarebbe stato da condannare) perché nel bus di linea che ha subito il primo attacco i passeggeri erano quasi tutti militari; questa combinazione ha trasformato l’attacco da terrorista in azione di guerra… Si dimostra dunque, ancora una volta, l’inutilità di mantenere un’istituzione come l’ONU. Ed infine, l’Independent: il dolore di Israele è finito e lascia il posto alla vendetta sui palestinesi. Forse bisognerebbe spiegare la differenza tra vendetta e difesa, ma non importa. Teniamoci anche questa tremenda parola. E allora, signori dell’Indipendent, siamo d’accordo. Il tempo in cui si potevano uccidere ebrei e non risponderne è finito. E’ durato secoli e secoli e avete avuto tutto il tempo per divertirvi. Ora è finito e non ritornerà. E’ finito e non ritornerà perché, contro ogni logica aspettativa, contro ogni realismo, uomini con un coraggio pari solo all’enormità dei loro sogni hanno creato uno stato che ora esiste ed è Israele. E’ finito e non ritorna perché per ogni antisemita e ogni antisionista c’è un amico che si batte al nostro fianco. E’ finito e non ritorna perché noi ce la faremo a salvare i nostri figli e i figli di coloro che credono di essere i nostri nemici. Ci arriveremo con il coraggio e con la compassione. Siamo forniti di entrambi. Noi riusciremo, non so quando, non so come, ma esisterà un mondo senza terrorismo, senza dittatura e senza guerra; e noi siamo tra quelli che avranno contribuito a costruirlo.
In una situazione della Libia che sembra essere quella di un definitivo cambiamento di regime, anche se la realtà appare ancora diversa da come viene descritta da molti osservatori, tutti i giornali oggi presentano numerosi commenti ed interviste a personaggi che dovrebbero “conoscere” la realtà. Un editoriale di Avvenire mostra che il giornale cattolico crede nella “priorità di costruire la democrazia”, pur nella attenta valutazione della divisione in tribù e degli enormi interessi petroliferi. Opportuno l’articolo di Sergio Romano che, ricordando ai lettori del Corriere una pièce teatrale della II guerra mondiale, si chiede che cosa succederebbe se Gheddafi venisse processato; quanti sarebbero i leader che verrebbero chiamati come testimoni dopo averlo elogiato e adulato, come succedeva appunto nella pièce teatrale? Non è la NATO, ma l’Europa, e in primis l’Italia e la Francia che sono ora chiamate a costruire il futuro della Libia, senza dover perseguire interessi individuali immediati (ma non è una chimera?). Sul ragionamento di Romano è opportuno ricordare che nel 2003 la rappresentante libica venne eletta alla presidenza della Commissione per i Diritti dell’uomo, nel 2009 il libico Alì Treki fu eletto alla presidenza dell’Assemblea Generale, mentre la Libia di Gheddafi diventava membro del Consiglio di Sicurezza. Ancora nel 2010 la Libia era eletta al Consiglio dei Diritti dell’uomo e, anzi, veniva elogiata dagli “esperti” di detto Consiglio per la sua gestione di tali diritti (nella stessa seduta nella quale gli USA venivano, al contrario, condannati). Si dovrà tenere a mente anche il premio Mouammar Kadhafi che lo svizzero Jean Ziegler ha voluto istituire e assegnare a grandi personalità come Castro, Farrakhan, Garaudy, Ortega e Chavez. Infine, teniamoci a mente che il comandante Jalloud, fuggito da Tripoli all’ultimo momento, nel 1975 aveva pensato di distruggere Israele con un bombardamento atomico. A questo punto non resta che sperare in un avvenire migliore, come personaggi come Bernard Henry Levy dimostrano di credere (vedasi la rassegna di ieri), ma i dubbi di tanti altri commentatori appaiono seri. Anche l’editoriale del Foglio sembra vedere in modo chiarissimo il futuro della Libia, e se ne raccomanda la lettura. Robert Fisk sul Fatto Quotidiano analizza in modo abbastanza convincente la situazione nella prima parte dell’articolo, ma poi, come al solito, si scatena contro Israele, colpevole di non accogliere con gioia la rivoluzione araba di popoli che vogliono soltanto la democrazia (la stessa di Israele?); in questa situazione, anzi, Israele si preoccupa solo di uccidere 5 soldati egiziani. Da raccomandare anche la lettura di John R. Bolton che, su Liberal, analizza i numerosi errori compiuti da un Occidente che non sembra comprendere la politica portata avanti dall’Iran. Sandro Iacometti su Libero prende in considerazione il peso che avranno sul futuro della Libia le abbondanti riserve di petrolio e di gas; Russia e Cina, contrarie ieri all’intervento sotto l’ombrello ONU, sembrano oggi pronte ad accaparrarselo, insieme a Francia, Inghilterra ed USA, con l’Italia che dovrà cercare di mantenere le proprie posizioni strategiche. Simili i ragionamenti di Nicola Mirenzi che, su Europa, parla della Turchia, a lungo contraria a qualsiasi intervento NATO, con un primo ministro Erdogan fino all’ultimo strenuo sostenitore di Gheddafi (gli consegnò perfino un premio per i Diritti Umani); oggi è proprio la Turchia ad essersi presentata per prima, col proprio ministro degli esteri Davutoglu, a Tripoli per iniziare le trattative per prima, da un punto di forza. Attenta, come sempre, la valutazione del Wall Street Journal che prevede che ora molto potrebbe cambiare anche negli altri paesi come la Siria, dove tutto è in movimento, come gli Emirati che, insieme all’Arabia Saudita, sono riusciti a bloccare tutte le proteste, e come Marocco ed Algeria dove, in realtà, le timide proteste sono rapidamente rientrate. Mattia Ferraresi intervista per il Foglio Osama el Abd, rettore dell’Università cairota al Azhar; questa antica Madrassa fondata nel 970, è divenuta, nel 1961, una Università “laica”, ma gli studenti copti non vi sono ammessi, e, dopo i disordini di Capodanno, quando 23 cristiani furono uccisi, a causa delle proteste del papa di fatto ha interrotto le relazioni col Vaticano per “l’inaccettabile interferenza negli affari egiziani”. Non vogliamo la teocrazia, dice el Abd, ma la legge islamica deve essere la fonte delle nuove leggi. Nell’intervista si legge anche che è l’Occidente, e non il mondo arabo, che produce il terrorismo, che la sharia rispetta i diritti umani e la libertà religiosa. El Abd è stato intervistato a Rimini dove, in sua presenza, un giornalista egiziano ha urlato: diventeremo come Iran e Sudan! Sempre a Rimini è stato intervistato il patriarca dei copti ad Alessandria cardinale Naguib, che teme l’instaurarsi di un sistema politico e sociale basato sulla sharia; sono gli integralisti, numerosi ed influenti, e non i musulmani, i veri nemici della democrazia, in Egitto come in Libia. Opposto il pensiero di Lamberto Dini, attualmente presidente della Commissione Esteri del Senato, che, intervistato da Marco Berti sul Messaggero, “esclude derive estremiste nella nuova Libia”. Gheddafi tenne lontani gli estremisti, e questo gli basta per avere questa certezza. Daniel Pipes è intervistato su Repubblica da Arturo Zampaglione; già nell’81 analizzava la tirannia di Gheddafi, mentre ora nessuno si preoccupa di effettuare una simile analisi sulla nuova classe dirigente, e quindi il futuro gli appare del tutto incerto. Maurizio Molinari su La Stampa riflette con Ben Rhodes, autore per il presidente Obama dei discorsi di sicurezza nazionale, e ne salta fuori una interessante analisi della politica americana che utilizza differenti strategie nei vari paesi per cambiare regimi non accettabili. Emma Bonino, intervistata da udg su l’Unità, si dichiara pessimista per il futuro, coi soldi che mancano, il mercato fermo e la mobilità degli uomini che ha portato a bloccare gli accordi di Schengen. Infine ancora un’intervista sul Corriere, effettuata da Ennio Caretto al generale USA Zinni, che vede l’intervento della NATO scoordinato; molti hanno anzi rifiutato di combattere, ed ora è la stessa NATO che si gioca il proprio futuro. Diverso l’argomento trattato dal Fatto Quotidiano che pubblica gli interventi di Mauro Pesce e di Paolo Rodari dopo la pubblicazione di “Gesù. L’invenzione del Dio cristiano” di Paolo Flores d’Arcais: senza entrare nella polemica di Flores col papa, ha senso dovere ancora leggere oggi una affermazione come: “Gesù non era cristiano ma un ebreo osservante”?
Emanuel Segre Amar