Voci a confronto
Le relazioni tra Israele e la Turchia sono oggi al centro dell’attenzione di quasi tutti i commentatori. Israele è un bambino viziato, pubblica addirittura nel titolo il Financial Times, riprendendo le parole di Erdogan che arriva a parlare anche di terrorismo di stato perseguito da Netanyahu. Purtroppo anche su questo tema le disinformazioni si sprecano, e così su Europa Janiki Cingoli dimentica che la crisi tra i due paesi non iniziò affatto con l’episodio della Flotilla, per il quale Israele ha espresso il proprio rammarico e rifiuta le scuse; Cingoli omette infatti di dire ai suoi lettori che iniziò le ostilità proprio Erdogan attaccando il presidente Peres a Davos dopo la guerra Piombo Fuso del 2009. Anche le analisi di Cingoli, e non solo la descrizione dei fatti, è discutibile; non sono tanto “le opinioni pubbliche (della primavera araba) che contano sempre di più”, quanto i risultati di anni di lavoro sotterraneo del fondamentalismo che ha avuto buon gioco a causa delle cattive amministrazioni dei vari governi. Che poi l’Occidente sia preoccupato per questa nuova tensione tra Israele e Turchia è solo logico, ma è ancora presto per comprendere a fondo quella che sarà la reale posizione dell’Occidente. Sembrerebbe, a questo proposito, più convincente la serie di ipotesi ventilate da Pio Pompa sul Foglio, dove immagina uno stretto legame, una sorta di do ut des, che legherebbe il rapporto Palmer (sostanzialmente favorevole ad Israele), il prossimo voto richiesto da Abbas all’ONU, la successiva ripresa delle trattative (davvero solo ipotetica) tra israeliani e palestinesi e la stessa posizione di Obama; tutto questo avverrebbe in un sostanziale gioco di alleanze sotterranee tra l’Occidente e gli islamisti schierati, in Libia, contro lo stesso Occidente. Piuttosto ottimista si dimostra Hugh Pope, a lungo corrispondente da Ankara del Wall Street Journal, intervistato da Europa: Erdogan non avrebbe interesse a tirare troppo la corda con Netanyahu, ma probabilmente Pope sbaglia quando sostiene che oggi Erdogan potrebbe trovare tanti alleati in Israele pronti a concedere le scuse reclamate. Su questo punto Israele sembra essere piuttosto compatto, e il rifiuto non è solo della “destra estrema”. Non manca in questo articolo l’oramai sempre più comune riferimento ad un inesistente “governo di Tel Aviv”, che oggi ritroviamo, ad esempio, anche nella penna di Lucia Annunziata su La Stampa, che ha, da parte sua, il merito di dichiarare apertamente che Erdogan aspira ad una “era neo ottomana”, come su queste colonne si sostiene da tempo. E’ poi dubbio quale possa essere il futuro delle relazioni tra Turchia ed Occidente; Annunziata ha ragione a scrivere che la Turchia continuerà ad essere strettamente legata all’Occidente, ma questo avverrà solo, a mio parere, se l’Occidente non comprenderà il vero progetto del mondo islamico, del quale la Turchia fa, e sempre di più farà parte integrante. Sempre su La Stampa Aldo Baquis aggiunge un ulteriore tassello al muro di divisioni tra i due ex alleati: anche la Cipro turca (e ricordiamocene tutti la sua nascita!) avanza pretese sul gas che si trova sotto il Mediterraneo orientale tra Israele e Cipro. Sarà un’ottima scusa per giustificare, da parte di Ankara, l’invio della propria flotta militare, come infatti ha già minacciato.
Giulio Meotti, in un articolo sul Foglio come sempre pieno di riferimenti a fatti ben precisi, fa una carrellata di quanto successo nelle relazioni tra Egitto ed Israele dall’arrivo del primo ambasciatore al Cairo fino ad oggi, per chiudere il suo articolo con quanto appare oggi ben visibile sul muro dell’ambasciata: “una svastica –con la scritta- le camere a gas sono pronte”. Dubitiamo che molti altri giornalisti ne parleranno ai loro lettori! Francesca Marretta su Liberazione riporta una cronaca degli ultimi avvenimenti al confine di Gaza che meriterebbe un premio al festival dell’umorismo: l’esercito israeliano penetra nel territorio palestinese per distruggere la vegetazione. In tale azione uccidono un giovane (che non si dice che forse cercava di entrare in Israele), ed allora alcuni “miliziani” sono stati costretti a sparare colpi di mortaio. A questo punto si fa anche riferimento al fatto che “prima” altri “miliziani” avevano lanciato dei razzi “in violazione degli ordini di Hamas”.
Intanto a Gaza si sta preparando il processo per la morte di Vittorio Arrigoni, e perfino Michele Giorgio appare dubbioso sulla sua regolarità.
A New York ci si avvicina al voto richiesto da Abbas, e Le Figaro, in una serie di articoli, oltre a spiegare in dettaglio le differenze strategiche che faranno propendere per un voto al Consiglio di sicurezza o all’Assemblea generale (peccato che cada in gravi errori quando parla di frontiere dello stato palestinese nella risoluzione 242, e quando dimentica il blocco imposto da Netanyahu, inutilmente, alle costruzioni per 10 mesi), fa anche, con Laura Mandeville, delle valutazioni interessanti su quanto potrà accadere dopo il voto stesso per le sue conseguenze nelle relazioni tra i vari paesi, USA in testa. In una breve Repubblica si stupisce che l’FBI spiasse la comunicazioni dell’ambasciata israeliana, ma il sottoscritto si stupisce piuttosto che nella redazione del giornale più venduto in Italia non si sappia che in Israele non si parla “l’ebreo”.
L’Osservatore Romano pubblica un preoccupato articolo sulla realtà francese dove negli ultimi dieci anni le moschee sono raddoppiate, mentre le chiese sono diminuite di numero, ed ora alcune vengono perfino reclamate per essere trasformate in moschee. Sono i francesi vicini al “sorpasso” dell’islam sul cattolicesimo, come sostiene il giornale del Vaticano? Forse è possibile, e la Chiesa deve attentamente valutarne le cause. Della realtà islamica negli USA si interessa, al contrario, Elena Molinari su l’Avvenire, in un articolo che descrive realtà interessanti apparse dopo l’11 settembre; forse, per meglio chiarire tutte le sfaccettature, Elena Molinari avrebbe fatto bene a riportare anche le polemiche sorte negli USA sugli inviti fatti da Obama, per una cena a chiusura del Ramadan, solo a gruppi non moderati, non classificabili come integrati nel mondo americano (dei quali appunto si interessa l’articolo). E all’avvicinarsi della scadenza dell’11/9 è interessante l’intervista di Repubblica a Nathan Englander che era appena rientrato a New York da Israele.
Enrico Gasbarra su l’Unità firma un articolo corretto, in linea di massima, sulla Shoah (con le polemiche sorte in Francia e da noi ricordate la settimana scorsa), e sui viaggi della memoria; a Gasbarra penso di poter tuttavia far osservare che “in questi ultimi anni –non fu solo- la mano di cattivi maestri della destra più becera e vigliacca che ha cercato di offuscare il dramma di milioni di persone”, e che i viaggi della memoria sono sì molto utili ed importanti, ma solo se accuratamente preparati ed illustrati, e non, al contrario, se diventano un’occasione per scattare inutili fotografie di una realtà che, in tal caso, rimane incompresa.
Emanuel Segre Amar