Voci a confronto
Dopo la giornata nella quale tutti i riflettori erano puntati sui discorsi di Abbas e di Netanyahu all’ONU, ora è il momento delle trattative dietro le quinte. Su queste è impossibile riferire, mancando qualsiasi certezza, ma è sicuro che i giochi si fanno pesanti, considerando anche la posta in gioco. Al momento l’unico sicuro della propria posizione politica appare Netanyahu, che in Israele ha raccolto elogi anche tra gli avversari. Abbas, al contrario, deve difendersi dall’intransigenza di Hamas e dall’indifferenza dei suoi cittadini che iniziano a diffidare dei loro rappresentanti corrotti e senza alcun interesse a risolvere le diverse questioni sul tappeto. Di questa realtà parla Roberta Zunini nel Fatto quotidiano in un articolo nel quale il lettore più attento vedrà che i locali di una Ramallah interamente cablata non hanno nulla da invidiare a quelli glamour di New York. Il denaro che arriva in abbondanza dall’Occidente serve sì a far stare bene i palestinesi, ma impedisce al contempo qualsiasi progresso nelle trattative, essendo tutto interesse dei personaggi senza scrupoli non interrompere quel flusso in arrivo.
Obama ha la necessità assoluta di non essere costretto a mettere il veto, e a questo scopo lavorano i suoi collaboratori, mentre il Quartetto, diviso su tutto, cerca di imporre un calendario di trattative che non hanno neppure le condizioni basilari per poter iniziare (mentre Netanyahu invitava Abbas a cogliere l’occasione della presenza di entrambi alle Nazioni Unite per sedersi attorno ad un tavolo ed iniziare a dialogare, Abbas si imbarcava sul primo aereo per rientrare a casa sua). Elena Molinari su Avvenire aggiunge, a queste verità, il particolare che mentre il presidente Peres definisce Abbas il migliore leader a disposizione di Israele, costui definisce Netanyahu il più inflessibile. Ci sarebbe poco da gioire di tali affermazioni se non fosse che nel passato furono sempre i leader israeliani più inflessibili a ottenere i maggiori risultati. In un altro articolo pubblicato ancora su Avvenire a firma di Camille Eid troviamo alcune delle solite falsità che servono a peggiorare l’opinione che gli italiani hanno di Israele; “gli arabi israeliani godono di diritti simili a quelli di diverse minoranze etniche in Europa”, leggiamo, mentre si sarebbe dovuto scrivere che godono di tutti i diritti degli ebrei; e, più avanti: “molti rifugiati potranno essere accolti nel futuro stato di Palestina”, tacendo che Abbas ha dichiarato che non ne avranno neppure la nazionalità (perché, in cuor suo, dovranno andare in Israele per distruggerla demograficamente).
Chi fosse interessato ad approfondire alcuni aspetti del discorso di Abu Mazen (scelgo volutamente qui il suo nome di battaglia), potrà leggere Alan Baumann che sull’Opinione mette in evidenza alcune delle clamorose falsità pronunciate a New York tra gli applausi dei rappresentanti di tutto il mondo.
La diplomazia delle armi è il titolo di un editoriale del Foglio; Obama concede ad Israele quelle bombe che potrebbero distruggere i bunker atomici iraniani, i droni alla Turchia per combattere (e non per contrastare, come pubblicato) il PKK, e altre sofisticate armi agli alleati sauditi (che saranno usate, chissà contro chi, in futuro). Sicuramente la strategia del presidente americano è cambiata, e tale resterà fino alle elezioni americane.
Sergio Romano è forse l’opinionista italiano più continuo nel disinformare i suoi lettori su certe realtà del medio oriente; pochi giorni or sono, rispondendo ad un lettore, confrontava falsamente i dati relativi alla popolazione ebraica di Gerusalemme con quelli della popolazione della Palestina mandataria (pur riferendosi a prima del mandato); ad un attento lettore che glielo ha fatto notare, Romano replica oggi confondendo ancora le realtà; egli riconosce infatti al lettore che ha ragione: “accetto volentieri la sua osservazione sulle diverse dimensioni della Palestina ottomana, più vasta perché comprensiva anche dei territori divenuti parte del regno di Transgiordania”. Peccato che, subito di seguito, scrive, falsificando ancora la realtà: “si tratta soprattutto della Cisgiordania, oggi occupata da Israele”. La realtà di Romano cancella quindi, in un sol tratto, il 78% della Palestina mandataria pur di far credere che gli ebrei, nelle terre della loro antica storia, sono sempre stati una presenza quasi insignificante. Anche oggi Romano invita Israele a ritirarsi al di là dei “confini” del 1967, ricordando i 400.000 coloni presenti in “Cisgiordania”; se Romano leggesse il libro “Questa terra è la mia terra” di Eli Hertz, appena tradotto in italiano, vedrebbe che proprio questi coloni sono considerati legali in base ad una serie di deliberazioni della Società delle Nazioni, poi fatte proprie dalle Nazioni Unite e mai abrogate. Chiunque si cimenti nelle discussioni sul problema del Medio Oriente dovrebbe approfondire tutti gli aspetti, anche quelli legali, e non solo quelli legati al politically correct.
Mentre in Arabia Saudita si decide una prima apertura, seppur timida, alle donne, come si legge in un altro editoriale del Foglio, vediamo che l’influente teologo al Qaradawi concede alla donna il diritto di venir reclutata come attentatrice, al pari degli uomini, e intanto in Turchia si inizia a parlare di reintrodurre la poligamia. Non a caso Emma Bonino, intervistata dal Fatto quotidiano, ricorda che, accanto a queste aperture alle donne arabe, persiste la tradizione delle mutilazioni digitali femminili.
Davide Frattini dedica un articolo del Corriere alla storia di David Gerbi, ebreo libico scappato nel ‘67 a Roma ed ora ritornato a Tripoli insieme ai combattenti libici. Vi era già ritornato legalmente alcuni anni fa per restaurare una sinagoga, ma era stato imprigionato e torturato. Speriamo che questa volta questo ebreo coraggioso e legato alle sue antiche tradizioni abbia più successo.
Un’ultima considerazione sul ruolo dei giornalisti viene dopo la lettura di un articolo pubblicato ieri da Pepper e Huri su Haaretz nel quale si riferisce della mite condanna inflitta ad un uomo di Hamas; si muoveva indisturbato nei vari paesi del Medio Oriente grazie alla tessera rilasciatagli da al Jazeera.
Emanuel Segre Amar