Qui Livorno – Un anno per la sapienza e per il sentimento
La festa di Rosh Hashanà è il giorno in cui il Signore giudica tutto il mondo, il Giorno del Giudizio. In questo giorno noi suoniamo lo Shofar, come è scritto nella Torà, e i Maestri spiegano che ciò avviene per ricordare il sacrificio di Isacco, il quale andò per morire nel nome del Signore. Perchè proprio lo Shofar e non altri oggetti, come magari il coltello o la corda con cui veniva legato il sacrificando, oggetti più attinenti alla cruenta cerimonia?
La festa di Rosh Hashanà è il giorno in cui il Signore giudica tutto il mondo, il Giorno del Giudizio. In questo giorno noi suoniamo lo Shofar, come è scritto nella Torà, e i Maestri spiegano che ciò avviene per ricordare il sacrificio di Isacco, il quale andò per morire nel nome del Signore. Perchè proprio lo Shofar e non altri oggetti, come magari il coltello o la corda con cui veniva legato il sacrificando, oggetti più attinenti alla cruenta cerimonia?
I nostri Maestri rispondono che la scelta del corno d’ariete è stata fatta per significare che il Signore non vuole sacrifici umani, e non già solo quello di Isacco, come è scritto (Ezechiele cap. 18 v. 23): “Desidero forse che il malvagio muoia? – dice il Signore. – Non desidero forse invece che si ritiri dalla sua crudeltà e viva?” Lo Shofar è quindi il simbolo dell’animale sacrificato al posto dell’uomo.
Nel Talmud (Massechet Rosh Hashanà, pag. 16) è scritto: “Ha detto Rabbì Haspedai a nome di Rabbì Yohenan: tre libri si aprono in questo giorno di Rosh Hashanà, uno per i malvagi completi, uno per i giusti completi e uno per quelli che stanno nel mezzo. Coloro che sono giusti al cento per cento il Signore iscrive nel Libro e sigilla per la vita. I malvagi completi anch’essi vengono iscritti a sigillati, ma per morire. A coloro che si trovano nel mezzo a questi due estremi, il Signore concede dieci giorni per fare la Teshuvà e, nel giorno del Kippur, soppesando il bene e il male, decide di iscriverli nel Libro della Vita o in quello della Morte. Se vediamo però che malvagi vivono e giusti soffrono e muoiono, ciò significa che la sentenza è stata pronunciata per il mondo avvenire.
I Maestri dicono che in questo mondo in maggior numero sono coloro che stanno nel mezzo, per i quali le mitzvoth pesano quanto i peccati. Pertanto, ciascuno di noi deve esaminare se stesso ed affrettarsi a compiere mitzvoth per poter trovarsi dalla parte giusta.
E come si determina se la maggioranza è composta da “benonim”, cioè da coloro che stanno nel mezzo? “Benonim” vuol dire “nel pensiero”, cioè non siamo malvagi e non siamo giusti, cerchiamo di agire secondo le mitzvoth ma non completamente, mentre però sentiamo rimorso per ciò che non facciamo e pensiamo di cambiare. Non siamo, cioè, malvagi, contenti di peccare – dicono i Maestri – e così va la maggior parte di noi. Come è scritto nel Cantico dei Cantici (cap. 1 v. 6): “Non badate se sono scura, è il sole che mi ha abbronzata”. E i Maestri spiegano: c’è chi è nero per suo colore naturale e chi è scurito dai raggi del sole, ma quello non è il suo vero colore. Il Signore non guarda a noi quali peccatori incalliti che agiscono con animo malvagio. Siamo solo coinvolti dalle circostanze esterne che agiscono su di noi come un’abbronzatura. E in queste condizioni si trova la maggioranza di noi, per cui nei dieci giorni della Teshuvà noi dobbiamo cercare di spostarci verso la categoria dei giusti.
Due livelli di sapere esistono, come è scritto nella preghiera finale della Tefillà ‘Alenu Leshabeach: “E saprai oggi e porrai nel tuo cuore che il Signore è il solo Dio”.
Questi livelli di conoscenza sono: uno la sapienza e l’altro il livello “mettere nel cuore”.
A volte sappiamo ciò che dobbiamo fare ma non agiamo perché ciò che dobbiamo compiere non è entrato nel nostro cuore. Ad esempio, un uomo fuma pur sapendo che fumare fa male. Perché fa così? Perché egli sa, ma non ha ancora iscritto quel che sa nel suo cuore.
La maggior parte di noi, nella vita ebraica, vive al livello del sapere mentre tanta parte dell’Ebraismo non è entrata nel suo cuore. Sappiamo di dover fare ma non facciamo.
Proprio in questi giorni dobbiamo cercare di far sì che almeno una piccola parte della sapienza che abbiamo entri nel nostro cuore e ci induca a compiere le mitzvoth.
A tutti i lettori di “Pagine Ebraiche” auguro Hag Sameach e Hatimà Tovà
Yair Didi