Jacob Frank, studiosi a confronto
Un incontro denso di nuove prospettive di ricerca ha avuto luogo nella sede del Centro Bibliografico Ucei, organizzato dal Centro di Cultura Ebraica, dalla Rassegna Mensile di Israel e dal Centro romano di Studi sull’Ebraismo dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. L’occasione è stata la pubblicazione del libro The mixed Moltitude. Jacob Frank and the Frankist movement, 1755-1816 di Pawel Maciejko, docente presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Nell’introduzione Myriam Silvera, curatrice dell’incontro, ha sottolineato la difficoltà di conoscere a fondo il movimento frankista, e il precedente, quello sabbatiano, noti soprattutto tramite la voce degli avversari, visto che le testimonianze dei diretti protagonisti sono state in larga parte distrutte o censurate. Gershom Scholem, autore di Šabbetay Şevi. Il Messia mistico fu in alcuni ambienti vivamente criticato per aver voluto studiare a fondo una questione che, a loro avviso, avrebbe meritato di rimanere nell’oblio per sempre.
Il direttore della Rassegna Mensile di Israel, Giacomo Saban, ha ricordato che tra le fila dei Giovani Turchi, movimento che aspirava alla modernizzazione dell’Impero Ottomano, si contavano alcuni seguaci di Frank. Molto interessante è stato poi l’accenno al testamento di un presunto frankista dell’Isola d’Elba e alle somiglianze che Saban vi ha individuato con il testamento frankista già presentato da Scholem.
Roberta Ascarelli, professore di Lingua e Letteratura Tedesca presso l’Università di Siena, rileva che il dato di fondo è la necessità, per conoscere Jacob Frank, di una sorta di ermeneutica della reticenza, per affrontare la dottrina della dissimulazione, l’uso del tradimento; l’equivoco, usato come metodo di comunicazione, rende complicato analizzare il personaggio. L’oratrice si è soffermata sul gesto estremo della conversione al cattolicesimo, e sul fatto che, pur non essendo più ebrei, i frankisti non si sentirono del tutto fuori dall’ebraismo; infatti posero come condizione per la conversione, come ricordato anche da Pawel Maciejko, la possibilità di pregare in ebraico e di studiare la mistica ebraica. Rispetto al rapporto con la modernità si osserva poi che molti frankisti parteciparono a moti rivoluzionari, primo fra tutti la Rivoluzione Francese; in ogni sommovimento rivoluzionario e liberale si può rintracciare un frankista.
Fabrizio Lelli, professore di Ebraico presso l’Università di Lecce, fa rilevare che mentre secondo Scholem il sabbatianismo prima ed il frankismo poi, si basavano sull’interpretazione della mistica luriana, secondo Moshe Idel è necessario fare riferimento alla mistica pre-luriana, e prestare maggior attenzione all’ambiente bizantino. L’eredità dell’ambiente ebraico bizantino è ancora poco studiata, ma sicuramente latente nel mondo ottomano. Secondo Idel, leggendo le opere di Nathan di Gaza risultano evidenti temi fioriti in ambito bizantino. Il libro presentato ha il pregio, secondo Lelli, di essere molto ben documentato, di spazzare via tanti pregiudizi dovuti alla poca conoscenza della vicenda di Jacob Frank, di essere corretto dal punto di vista storiografico ed attraente da quello letterario.
Il Rabbino capo della Comunità di Roma, Rav Riccardo Di Segni, evidenzia come il tema principale del pensiero frankista sia quello dell’opposizione alla Legge, dell’antinomismo, della ribellione alla codificazione talmudica. Secondo la tradizione rabbinica la Legge scritta non si comprende se non attraverso quella orale, il Talmud. Ad alcuni, nell’ambito del popolo ebraico è talora sembrato che esista un’opposizione tra Legge scritta e legge orale. L’eversione anti-talmudica contiene in nuce una eversione molto più grande e radicale. L’eresia sabbatiana nasce con una fondamentale componente eversiva, come evidenziato dal noto gioco di parole “Mattir Assurim” della Amidà ([Benedetto Tu, o Signore] che liberi i prigionieri) che diventa “Mattir Issurim”, (che concedi le cose proibite) e inventa riti di rottura. Nel caso del frankismo sono le autorità rabbiniche a chiedere l’aiuto delle autorità cristiane contro i frankisti; e la loro successiva conversione al cattolicesimo diventa per l’ebraismo una vera e propria liberazione. L’unica voce contraria, il Ba’al ShemTov, che avrebbe voluto trattenerli nel seno dell’ebraismo.
Laura Quercioli Mincer, polonista e studiosa di letteratura ebraica contemporanea, sottolinea l’attualità dei riflessi del frankismo in Polonia in cui fino a pochi decenni fa frankista era sinonimo di convertito, traditore, sovversivo, rivoluzionario, che vuole conquistare la sacra terra polacca; non dimentichiamo che lo stesso Giovanni Paolo II è stato accusato di appartenere a tale setta. L’ingresso in massa dei convertiti frankisti in una società, come quella polacca del tempo, rigidamente divisa in caste, è un esempio unico e realmente “rivoluzionario” di mobilità sociale; fra i suoi esiti troviamo probabilmente la peculiare forma dell’antisemitismo polacco e una sua certa fissazione con il sangue e la genealogia. Riferendosi poi alla recente visione in anteprima, in Polonia, di un film incentrato sulla figura di Frank, presentato come personaggio losco, meschino, ma con gran carisma, Laura Mincer sostiene sia possibile che il torbido personaggio di Frank sia un’allusione al modo di gestire il potere tipico di una parte della classe politica polacca (fortunatamente sconfitta alle ultime elezioni). Nelle ultime righe del suo libro Pawel Maciejko sostiene che il frankismo ha messo in gioco ciò che i suoi contemporanei, ebrei o cristiani, consideravano l’ordine naturale delle cose, delle strutture sociali tradizionali, delle gerarchie simboliche, dimostrando che non si trattava di due società distinte, ma piuttosto di due agglomerati di gruppi sociali eterogenei. Il fatto che queste parole vengano da uno studioso internazionale ma con formazione polacca è un enorme passo in avanti e la dimostrazione che il frankismo, non come movimento, ma per i sistemi simbolici messi in moto dalla folle avventura di Frank ha avuto la capacità di rinnovarsi e dire qualcosa di importante.
Pawel Maciejko, docente di pensiero ebraico presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, e autore del libro presentato, fa notare il particolare rapporto che si istaura tra le autorità ebraiche e quelle cristiane in relazione ai frankisti: l’establishment ebraico e cristiano si trova unito dinanzi al fenomeno della dissidenza religiosa. Nelle dispute ebraico-cristiane verificatesi nella storia gli ebrei si erano trovati a difendere il Talmud dinanzi alle accuse dei cristiani, ora i due fronti del combattimento non sono più gli stessi. Gli ebrei, nel corso della loro storia, in quanto minoranza perseguitata, avevano motivo di temere qualsiasi tipo didisputa o divisione, che potesse essere usata contro di loro. Il frankismo non solo fu il più grande sommovimento del XVIII secolo, fu anche la maggiore controversia tra ebrei divenuta pubblica. Rispondendo ad alcune domande osserva poi che si sentirebbe propenso ad attribuire eventualmente la definizione di “impostore” o “ciarlatano” a Shabbatai Tzvì, perché Frank non si proclamò mai “messia”. La figura dell’“impostore” è d’altronde essenziale alla comprensione della storia culturale della sua epoca.
Maria Cristina Bonanni