Voci a confronto

Tutti i giornali del mondo parlano oggi della liberazione di Gilad Shalit, e il sottoscritto che deve lottare col tempo per leggere decine di articoli si scusa con gli autori che non sono qui citati non certo per mancato interesse.
Occorre fare subito una riflessione, dopo aver letto che il presidente Sarkozy ha già invitato all’Eliseo il giovane che è anche cittadino francese: è importante non caricare di un nuovo pesante fardello le fragili spalle del giovane sergente maggiore per evitare che si ritrovi in una nuova prigione. Nel caso di un nuovo attentato, magari organizzato da uno dei terroristi oggi liberati, come lo potrebbe infatti vivere questo giovane le cui parole, rilasciate subito dopo la liberazione alla televisione egiziana, si possono oggi leggere su Repubblica nell’articolo firmato da Amin Shahira. Anche Renata Zunini sul Fatto Quotidiano riporta le parole di Gilad: non appoggerò la causa palestinese né la liberazione di altri prigionieri politici, se non rinunceranno a compiere azioni terroristiche. Fiamma Nirenstein, con grande sensibilità (che purtroppo è mancata alla maggior parte di coloro che oggi hanno pubblicato i propri pensieri), scrive che tutta Israele si interroga su quel braccio destro che ciondola, sulla gamba che zoppica, sulla fatica di salire sull’elicottero; eppure tutti hanno visto quelle scene. Al contrario, scrive ancora Fiamma, la CNN continua a chiamare i terroristi col termine di militanti, e i crimini dei quali si sono macchiati vengono presentati come opinabili accuse israeliane. Da leggere Fiamma che conclude con queste parole: sono un po’ debole, dice Gilad; sì, nel corpo, sergente Shalit, non nell’anima. Come Israele. Sul Corriere Meir Shalev, che quando era militare, ferito da fuoco amico venne salvato dai commilitoni, firma un articolo il cui titolo dice tutto: salvare anche un solo uomo, ecco la forza di Israele. Se allarghiamo il discorso alle analisi politiche, oggi molto numerose, segnaliamo Lucia Annunziata che, su La Stampa, scrive di un grande disegno per isolare l’Iran, con al centro USA ed Arabia Saudita. Annunziata parla di una fragilità politica di Israele che renderebbe impossibile un’opzione militare, aggiungendo che le rivoluzioni avrebbero indebolito sia Hamas che Israele; la prima per il timore di ritrovarsi una primavera in casa propria, la seconda a causa degli accordi saltati con Egitto, Turchia (e magari anche con altri stati). Diverse le considerazioni di Massimo D’Alema, intervistato da De Giovannangeli sulle colonne de l’Unità: più che i commenti ai fatti del giorno, va osservato che l’ex primo ministro ed ex ministro degli esteri difende i propri rapporti con Hezbollah, una delle forze politiche più importanti del Libano (dimentica tuttavia che è un gruppo terrorista). D’Alema non nasconde inoltre le sue critiche ad Israele, colpevole di non aprire le trattative con Abu Mazen (è sempre solo colpa di Israele?). Yehoshua, intervistato da Repubblica, si augura che alcuni degli ex carcerati si convertano alla pace, dopo aver imparato in cella l’ebraico ed aver conosciuto la nostra società. Yehoshua spera pure di veder comparire un Mandela palestinese. Robert Mnookin su Liberal scrive che più si pagano i riscatti, più aumentano gli abbordaggi, e Hamas sarà incoraggiato a rapire quanti più soldati possibile. Hamas oggi è forte, mentre Fatah è debole, e infine si chiede: chi glielo ha fatto fare a Netanyahu di accettare quelle trattative? Ragioni umanitarie, dovevano farlo. Ma non c’è nulla di razionale, ed è anche una conclusione pericolosa. Ancora su Liberal Elliot Abrams osserva che il riscatto è stato praticato dagli ebrei per secoli; si possono anche vendere preziosi articoli religiosi, ma non si deve mai strapagare. Conclude il suo articolo Abrams dicendo che, a differenza di quanto succede da noi, gli israeliani non possono discutere; devono decidere. Fabio Nicolucci sul Mattino, accanto ad un corretto inquadramento, quando cerca le ragioni che hanno portato a questo scambio, fa fantapolitica; vede infatti in questo un’azione propedeutica ad un attacco all’Iran ed alla necessità per Netanyahu di oscurare gli indignados. Giorgio Ferrari sulle colonne di Avvenire fa una corretta analisi nella quale parla dello sfilacciamento dei rapporti, per altro anomali, tra i sunniti di Hamas, gli sciiti di Teheran e gli alawiti di Damasco, rapporti che i francesi definiscono marriage blanc. Ora si assiste, finalmente, al più logico rientro di Hamas nell’orbita dei Fratelli Musulmani, con la supervisione del Segretario alla difesa USA Panetta, nei giorni scorsi impegnato in un importante tour in Medio Oriente. Sulle stesse colonne Luigi Geninazzi fa la storia di tutti gli avvenimenti collegati alla vicenda Shalit a partire dai rifiuti di Olmert, per continuare con le battaglie sostenute per ritrovarlo, fino alla conclusione, pur preceduta, apparentemente, da numerosi rifiuti di fronte a condizioni imposte che si sarebbero dimostrate essere meno onerose di quelle alla fine accettate. E nelle vicende delle passate trattative si addentra anche il Corriere che, con Battistini, intervista Gershon Baskin, un ebreo di New York che, fin dal momento della cattura del caporale Shalit sarebbe stato l’anello di collegamento tra Israele e Jaabari, capo dele brigate Qassam e vera controparte negoziale. Baskin sarebbe stato, talvolta, messo in disparte dai governanti israeliani ed egiziani, ma alla fine Netanyahu se ne sarebbe avvalso per giungere alle felici conclusioni. Due articoli pubblicati sul Figaro a firma di Tangi Salaün e di Pierre Rousslin analizzano l’Egitto di oggi, di nuovo al centro di quanto succede in Medio Oriente grazie all’aver procurato il riavvicinamento tra Fatah e Hamas prima, ed alla liberazione di Gilad ora; ed intanto il comandante dell’aviazione egiziana può oggi affermare di non dover chiedere il permesso a nessuno per riportare i propri aerei sul Sinai, in contrasto con gli accordi di pace firmati da Sadat. Sarà solo il futuro a dirci quello che è il vero prezzo pagato da Israele, che deve aver compreso che con Abu Mazen non si può andare da nessuna parte.
Non fa certamente piacere leggere sul Sole 24 Ore le parole di Ugo Tramballi: sul palcoscenico mediatico, scrive Tramballi, sono saliti 280 palestinesi condannati a morte e graziati dagli israeliani. Conclude il commentatore del quotidiano della Confindustria affermando che questa, per i palestinesi, non è una vittoria. Non è da meno Michele Giorgio nei suoi due articoli pubblicati sul Manifesto per il quale intervista il direttore dell’associazione ex prigionieri politici (sic). Nella sua analisi esalta anche il ruolo della Turchia che accoglierà 10 prigionieri (?) destinati all’esilio. Nel secondo articolo parla degli adolescenti destinati agli arresti amministrativi (forse senza motivazione precisa?), incarcerati e non processati, ed arriva a rammaricarsi che Gilad Shalit abbia dato un’immagine mite dell’esercito israeliano.
Ancora un breve spazio per altri argomenti. Sul Foglio nic. til. scrive che il divieto voluto dalla Lega Nord della macellazione rituale ebraica non è passato in Regione Lombardia. E’ opportuno il richiamo a quanto succede in Norvegia dove il divieto sussiste fin dal ‘29, e dove tuttavia le balene vengono regolarmente sterminate senza lo stordimento preventivo. Forse, se la carne di quei mammiferi fosse kasher, si potrebbero salvare nel paese scandinavo, sempre in prima linea negli attacchi contro Israele. Infine su Europa, con la lettera di un lettore, a seguito di altri articoli pubblicati nei giorni scorsi, si continua a parlare di “popolo deicida”, pur tra mille distinguo.
Emanuel Segre Amar