Voci a confronto

I giornali radio di questa mattina hanno diffuso la notizia che la Turchia, dopo il disastroso terremoto di domenica, ha finalmente accettato di aprire le proprie frontiere agli aiuti offerti “da una trentina di stati, tra i quali Israele”; già pochi minuti dopo il sisma, sentito anche in Israele, Netanyahu aveva telefonato a Erdogan (e subito dopo Peres al presidente Gul), offrendo di far partire le squadre esperte nelle operazioni necessarie dopo simili catastrofi (recentemente utilizzate anche in Giappone ed a Haiti), ma l’offerta era stata respinta. A distanza di giorni, finalmente gli aiuti potranno arrivare, ma le conseguenze di questo ritardo ricadono solo sugli abitanti del sud est turco.
Libia e Tunisia sono ancora al centro dei commenti dei quotidiani di oggi; Pio Pompa scrive sul Foglio che fin dalla scorsa estate Francia e Gran Bretagna preparavano, con loro uomini sul terreno, quella che è poi stata la fine di Gheddafi (mentre gli USA preferivano restare fuori da quei giochi), ed ora si chiede se Sarkozy avrà sorriso alla vista di certe immagini, sapendo che adesso la sharia rischia di essere messa a fondamento della nuova Libia. Un attento lettore del Corriere fa osservare che, dopo i bombardamenti effettuati da Reagan nell’86, Gheddafi aveva dimostrato, pur tra mille follie, di aver cambiato strada, ed aveva sempre tenuto sotto controllo gli imam più fanatici, conscio che da lì veniva il pericolo, censurando, ad esempio, i discorsi del venerdì; ma Sergio Romano non coglie, nella sua risposta, questo aspetto della realtà. Paola Peduzzi sul Foglio scrive che, man mano che vengono alla luce le tante fosse comuni, i ribelli libici vengono accusati di crimini di guerra. Guardando poi a quanto succede in Tunisia, fa un paragone con quanto avvenuto con le elezioni di Gaza; tutti sanno che oramai i salafiti, soprattutto nel sud tunisino, si sono infiltrati dentro le file di Ennahda facendo crescere l’intolleranza. La democrazia ha le sue regole ben precise, aggiunge, e non si può comperare la rivoluzione, ma non dobbiamo neppure distrarci. Bisogna fare attenzione alla Taqiyya, la dissimulazione lecita (lecita per gli islamici, dalla lettura del Corano), che fa dire quanto si considera utile al momento anche se si pensa di voler fare il contrario; in tal modo si finisce con lo scrivere un bel libro dei sogni. Bernard Guetta su Repubblica considera motivo della vittoria degli islamici tunisini la divisione profonda tra i partiti laici le cui correnti non hanno saputo mettersi d’accordo (ma dimentica di ricordare anche gli enormi mezzi finanziari a disposizione di Ennahda). Guetta sembra dare credito al ripudio della violenza proclamato dai vincitori, che hanno scelto di arrivare al potere con la schedina (?) elettorale, facendo eleggere anche candidate dai capelli sciolti, e sembra rallegrarsi di simile scelta, certo che la teocrazia non seduca più; l’unica critica la muove considerandoli una destra non illuminata, che tuttavia non va demonizzata, ed alla cui conversione democratica si deve credere. La lotta contro i vincitori deve essere solo politica per la difesa dei diritti di chi ha dimostrato di non volerli. Diverso il commento di Luigi Geninazzi che sulle colonne di Avvenire scrive che Ennahda, cioè Rinascita, o Rinascimento, a ricordo di una stagione gloriosa per il mondo arabo del XIX secolo, mostra sì un volto tollerante, ma troppo diverso da quello delle sue origini (ed il passato sta lì a severa testimonianza). Ad ulteriore dimostrazione della sua tesi Geninazzi porta l’esempio di quanto succede in Egitto dove i Fratelli Musulmani hanno già abbassato la maschera e stanno criticando lo stato secolare di Erdogan. Un ulteriore elemento sul quale riflettere lo propone Alessandra Coppola che sul Corriere osserva che gli islamici di Ennahda hanno ottenuto oltre il 55% dei voti espressi dai 152000 tunisini residenti in Italia (e negli altri paesi europei ed in USA i risultati sono analoghi ndr). Andrea Morigi per i lettori di Libero è andato a scovare documenti giudiziari italiani che mostrano rapporti tra i sostenitori italiani di Ennahda e movimenti sovversivi. Al contrario Antonio Panzeri, che si firma come eurodeputato del PD, sullo stesso quotidiano mostra di credere ancora in un futuro democratico per la Tunisia dove lo stesso leader uscito vincitore è stato obbligato dalla folla a fare la coda davanti al suo seggio elettorale.
Anche in Egitto la situazione sembra essere molto pericolosa, e intanto, come scrive Daniele Raineri sul Foglio, Obama telefona al presidente Tantawi per chiedergli di abolire la Legge di Emergenza. Forse l’esperienza di quanto è successo con Gheddafi non è servita molto. Intanto Israele ed Egitto hanno deciso lo scambio tra 25 prigionieri egiziani detenuti nelle carceri israeliane (nessuno colpevole di assassinio) con l’israeliano Ilan Grapel, già accusato di spionaggio, ma ora solo più di danneggiamenti. Per meglio comprendere la situazione dell’Egitto Raineri denuncia poi che il blogger copto Maikel Nabil, colpevole di avere iniziato uno sciopero della fame, è stato trasferito in un ospedale psichiatrico.
Roberta Zunini va ad intervistare un palestinese, condannato a 30 anni e liberato nell’operazione che ha riportato a casa Shalit; egli non è stato mai maltrattato dai carcerieri israeliani, ma subito dopo la giornalista scova nella stessa casa una giovane, detenuta per un anno ed ora agli arresti domiciliari (strana combinazione che fossero insieme, se lei è agli arresti domiciliari ndr), la quale mostra un livido sulla propria coscia, che automaticamente diventa la prova di un calcio ricevuto dalla guardia israeliana, da portare a testimonianza al lettore italiano.
Desidero chiudere questa rassegna con la bella lettera scritta da Bernardo Poliero al Riformista, dopo la morte di Irena Poliero a 98 anni in Polonia; ha salvato da sola, prima di essere scoperta dai nazisti, 2500 neonati e bambini sottraendoli dal ghetto di Varsavia, ed è stata proposta invano, l’anno scorso, per il Nobel per la pace; la lettera deve servire affinché il mondo non dimentichi mai quanto è avvenuto, e perché una tale barbarie non accada mai più.
Emanuel Segre Amar