Voci a confronto
Di grande interesse la lettura dei quotidiani del mondo intero nella giornata di oggi, anche per le firme che troviamo accanto a quelle degli usuali commentatori. Mancano tuttavia le pur doverose notizie dei tantissimi lanci di razzi, anche a media gittata, sparati da Gaza (tranne che nell’articolo di Michele Giorgio nel Manifesto, dove sono tuttavia esposti in modo da minimizzarli, come al solito in questa testata, e farli apparire come la reazione alle uccisioni mirate dei jihadisti che appunto li stavano tirando).
Tutti i giornali si dilungano su quanto è successo all’Unesco e sui prossimi passi dell’AP (prossimo ingresso in altre 16 organizzazioni internazionali dello Stato di Palestina); intanto Hillary Clinton ha annunciato il doveroso blocco di qualsiasi versamento USA all’Unesco (doveroso per la legge americana vigente), e Netanyahu, oltre ad annunciare un identico blocco da parte di Israele, sospende anche momentaneamente i versamenti fiscali all’AP e promette di accelerare le costruzioni già precedentemente decise, dichiarando che questa è la logica conseguenza all’infrazione palestinese degli accordi di Oslo. Dal canto loro i palestinesi preannunciano la richiesta di custodia esclusiva dei luoghi santi per le tre religioni monoteiste che, c’è da scommetterlo, in futuro non saranno più visitabili da tutti i credenti, come lo sono stati solo sotto il controllo israeliano. Il Wall Street Journal scrive di un ritorno al passato per l’Unesco, ricordando quando l’organizzazione permise alla Francia il blocco delle importazioni dei film di Hollywood e dei vini californiani. Aldo Baquis, in particolare, parla nella Gazzetta del Mezzogiorno dei luoghi santi di Betlemme, della Tomba dei Patriarchi di Hebron, della Tomba di Rachele nei pressi di Betlemme, e di quella di Giuseppe nei pressi di Nablus. Opposta la rappresentazione fatta da Fabio Amato su Liberazione: egli difende infatti il “patrimonio storico intangibile” dei palestinesi in quei luoghi, mentre accusa gli israeliani per gli scavi ed i tunnel sotto la spianata (ma non sono i palestinesi ad aver scavato e buttato nelle discariche quanto rinvenuto sotto la spianata?). Logica è quindi, per Liberazione, la conseguenza del preannuncio di futuri “processi per crimini contro l’umanità” nei confronti di Netanyahu e di Lieberman. Numerosi gli articoli che si trovano sul Fatto Quotidiano, ma solo una breve è dedicata alle rivelazioni contenute nelle memorie di Condoleeza Rice che svelano le concessioni fatte da Olmert e rifiutate da Abu Mazen: 94% dei territori, scambi per il restante 6%, e Gerusalemme capitale. In altri due articoli dello stesso quotidiano a firma di Roberta Zunini, va osservata una grave scorrettezza della giornalista che, intervistando l’ultimo sopravvissuto del Ghetto di Varsavia, descrive Haifa come città israeliana a maggioranza araba (su internet chiunque potrà trovare le seguenti cifre: 90% ebrei, 5% arabi cristiani, 4% arabi musulmani e 1% drusi). La Zunini prosegue con la sua personale opera di disinformazione parlando di Tel Aviv come la capitale amministrativa, e ricordando solo le recenti azioni contro le tombe islamiche di Giaffo, ma dimenticando tutte le altre perpetrate dai palestinesi. Parlando poi dei luoghi sacri che rischiano ora di passare sotto il controllo palestinese, nasconde completamente il valore che hanno per gli ebrei. Il Financial Times, dal suo canto, parla di insediamenti illegali, dimenticando che non lo sono per la legge internazionale perché non vi era, prima dell’occupazione, uno stato legittimo. Nello stesso modo accusa i provvedimenti presi dal governo israeliano ieri, ma dimentica di dire che sono i palestinesi ad avere infranto per primi gli accordi di Oslo.
Tra le firme importanti da leggere oggi, citiamo il giudice sudafricano Richard Goldstone che, sull’International Herald Tribune rifiuta l’accusa di apartheid contro Israele; egli afferma di aver conosciuto bene l’apartheid (sudafricano) e assicura che era tutta altra cosa da quanto vi è in medio oriente. L’apartheid prevede “atti disumani commessi in un contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominazione di un gruppo razziale su di un altro per mantenere il regime esistente”. In Israele vi è una separazione di fatto e spontanea, ma non vi è apartheid. Tutti godono di pari diritti, e la Corte Suprema vigila su eventuali errori commessi. Nella stessa West Bank manca la volontà di dominazione di un gruppo sull’altro. Goldstone riconosce ad Israele il diritto di difendersi dagli attacchi dei palestinesi, e ricorda che lo stesso “muro” è stato spostato in alcuni punti, per decisione della Corte, per ridurre i disagi dei palestinesi. Per Goldstone un paragone con l’apartheid comporta un cattivo servizio per coloro che vogliono portare giustizia e pace nella regione. Altra firma prestigiosa troviamo su Repubblica, ed è quella di Abraham Yehoshua che descrive la vita errante nel mondo intero che gli ebrei da sempre hanno avuto; già all’epoca romana erano “in esilio”, scrive Yehoshua, ma “non furono esiliati” dai romani. Lascio al lettore il giudizio su questo articolo, dove tuttavia va osservata un’affermazione poco approfondita: è vero che al principio dell’800 c’erano solo 5000 ebrei in Palestina, ma Yehoshua dimentica di ricordare che vivevano in una terra praticamente desertica. La volontà di arrivare ai due stati è oggi pienamente accettata dai governanti di Israele, mentre la “nuova strada per la pace” auspicata dallo scrittore non viene indicata.
L’Herald Tribune dedica un duro articolo contro Israele per la vicenda della ex soldatessa Kamm condannata per aver divulgato documenti coperti da segreto militare; Dimi Reider arriva a vedere un pericolo per la democrazia di Israele… Da criticare severamente anche Uri Avneri che sul Manifesto fa un paragone tra la sharia e la presenza della Halakha nelle leggi israeliane, aggiungendo che il governo israeliano non avrebbe avuto il buonsenso di saltare sul carro delle rivoluzioni arabe per costruirsi una nuova immagine tra i giovani rivoluzionari arabi. Al contrario è da leggere con attenzione Fabio Scuto che, su Repubblica, descrive una Palestina (Ramallah in particolare) in pieno boom, con grattacieli, ville con piscina ed auto che crescono di numero in continuazione (in contrasto con ben precise affermazioni di tanti). Sul Figaro si legge che Lieberman, con posizioni diverse da quelle del governo, dice tuttavia ad alta voce quanto in molti, nel paese, sussurrano; va tuttavia osservata con stupore l’affermazione che l’AP, amministrandosi da sola, scaricherebbe Israele di tale fardello. Ma non è questa una concessione fatta allo stato che deve nascere?
Emanuel Segre Amar