Voci a confronto
Oggi, 9 novembre, è l’anniversario di quella notte del 1938 passata alla storia come la Notte dei Cristalli nella quale 25 ebrei vennero uccisi, 7500 negozi furono incendiati e 267 sinagoghe furono distrutte. Ce lo ricordano la il Giorno il Resto del Carlino e la Nazione, in un giorno che tutti ci dobbiamo augurare non diventi nuovamente giornata storicamente tragica. Sotto la guida del giapponese Amano, infatti, finalmente oggi l’agenzia dell’ONU AIEA ha riconosciuto ufficialmente quanto per anni, con l’egiziano el Baradei, aveva continuato a negare: l’Iran sta costruendo di nascosto la bomba nucleare. “Seriamente preoccupata” è l’agenzia, scrive il Corriere in una breve, mentre un editoriale del Foglio elenca con chiarezza i tre particolari che hanno portato alla pubblicazione odierna, pur anticipata nei giorni scorsi da indiscrezioni. La collaborazione molto stretta dell’Iran con tecnici stranieri specializzati, i test condotti su un particolare dispositivo che non può essere altro che un detonatore per ordigni nucleari, e le modifiche apportate alle testate dei missili iraniani, evidentemente destinati in futuro a trasportare l’arma proibita sono le motivazioni che hanno spinto Amano, nei giorni scorsi ricevuto in gran segreto alla Casa Bianca, a dichiarare oggi quanto fu ufficialmente negato fino a poco tempo fa, nonostante le affermazioni di tanti. Maurizio Molinari su La Stampa e Gian Micalessin aggiungono ulteriori particolari, ed oggi, dopo che il presidente Obama per tre anni ha accantonato realtà note ai servizi segreti di molti paesi, ci si ritrova stretti tra l’opzione di ulteriori pressioni economiche dal risultato incerto ed il veto russo e cinese, contrari ad azioni militari contro il regime degli ayatollah. Giorgio Ferrari su Avvenire fa una strana affermazione: la differenza tra Iran ed Israele è il fatto che, almeno, Israele è una democrazia; sarebbe questa l’unica differenza, viene voglia di chiedergli? Opposta è l’impostazione data a queste vicende da alcune testate; Fabio Amato, su Liberazione, firma un articolo di fantapolitica scrivendo che la guerra di Gaza sarebbe stata la preparazione a questa nuova guerra imminente contro l’Iran; la stessa trattativa per liberare Shalit sarebbe stata accettata per bloccare l’alleanza tra Hamas e l’Iran. Oggi il governo Netanyahu, a causa della sua asserita grande debolezza, sarebbe pronto a tutto. Eppure, scrive Liberazione, sarebbe tutto semplicissimo: basterebbe denuclearizzare il Medio Oriente… Anche Giancarlo Chetoni su Rinascita prende in pieno il sostegno dell’Iran scagliandosi in dure dichiarazioni contro USA e contro “Israele” che, per ragioni non spiegate ma ben evidenti, troviamo nominata tra virgolette. Sono, questi, piccoli particolari che devono far riflettere i lettori per le conseguenze che comportano nel tempo. Anche Chetoni consiglia comunque di lasciare che le cose vadano come devono andare, in modo che gli ayatollah possano costruirsi il loro ordigno nucleare. Eric Salerno scrive sul Messaggero che, secondo un ex capo dell’intelligence militare israeliana, l’Iran vuole sì la bomba nucleare, ma non per attaccare Israele; le dichiarazioni di Khamenei e di Ahmadinejad vengono in tal modo del tutto dimenticate.
Nel frattempo il Corriere ha inviato Benedetta Argentieri in Iran per visitare il paese e cercare di parlare con la gente; lodevole iniziativa che però necessita, per essere davvero utile, di essere affidata a giornalisti di grandissima personalità (come era ad esempio Oriana Fallaci che andò ad intervistare Khomeini); in questo articolo si ritrovano solo episodi spiccioli di vita quotidiana che poco lasciano comprendere del futuro di quel grande, meraviglioso paese. Sempre sul Corriere si trova una lettera inviata molto opportunamente dal signor Alessandro Prosperi per criticare Romano che ha definito “prigionieri di guerra” i terroristi condannati da Israele per gravi attentati contro la popolazione civile. Anche Battisti, gli chiede, o chi sterminò la famiglia Fogel, sarebbero da definire “prigionieri di guerra”? Assolutamente cinica è la risposta di Romano, che infatti inizia la sua risposta dicendo che “si devono dimenticare le motivazioni morali”. Romano scrive, falsificando la realtà, che i palestinesi ricorrono agli attentati, alle incursioni dei commando ed ai rapimenti, e che queste sarebbero armi usate da tutti i movimenti di resistenza e liberazione degli ultimi decenni. Egli nasconde i grandi sforzi di USA ed Israele per colpire il minor numero possibile di civili nelle reazioni armate contro un nemico che si nasconde volontariamente tra la popolazione, nelle scuole e negli ospedali, facendosi anche scudo dei più piccoli. Ai palestinesi tutto è permesso perché loro sono i più deboli, e intanto Romano nasconde le decine di migliaia di missili che hanno nei loro bunker e che usano con la massima tranquillità. Romano conclude la sua risposta dicendo che, terminata la guerra, questi uomini verranno tutti liberati e riconosciuti come “prigionieri di guerra”. Mi permetta il lettore di dichiarare qui il personale sconcerto nel leggere tante parole scritte sul più autorevole quotidiano italiano da Sergio Romano che sembrano fare a pugni con quella che è sempre stata la linea editoriale della testata. Restando nel tema dei prigionieri in Israele, troviamo una analisi su Marwan Barghouti, condannato a cinque ergastoli, sull’Herald Tribune; egli, col suo movimento laico Tanzim, si oppone da sempre ad Arafat ed al suo successore Abu Mazen, se non altro a causa della loro corruzione, e con Fayyad potrebbe, se liberato, diventare la miglior controparte per Israele.
Il Corriere e La Stampa, entrambi con una breve, scrivono che il Presidente del Consiglio di Sicurezza ha affermato che non si sarebbero verificate le condizioni necessarie (9 voti a favore) per arrivare al riconoscimento dello stato di Palestina.
Un editoriale del Foglio si sofferma sullo scambio di battute, avvenuto a Cannes, tra Sarkozy e Obama; Netanyahu è un bugiardo, ha detto di fronte ai microfoni, che credeva spenti, il presidente francese, e, di rimando, quello americano ha risposto: lo dici a me che devo averci a che fare tutti i giorni? I giornali preferiscono non parlarne, scrive l’editorialista, per non violare quelle regole deontologiche che, al contrario, non sarebbero state rispettate in certi articoli contro Berlusconi. Al lettore non resta che riflettere su come pensano oggi, 9 novembre 2011, due delle massime autorità mondiali.
Emanuel Segre Amar