Voci a confronto
Il mio commento settimanale alla rassegna stampa terminava, mercoledì scorso, con un invito a riflettere sulla società di oggi, anche su quella italiana, visto che su Facebook continua imperterrito ad operare un social network che fa “umorismo” su ebrei, bimbi down e vittime di pedofilia. Sui giornali di questo mercoledì 7 dicembre si apprendeva che l’assessore calabrese Tuccio, sempre su Facebook, rinfaccia a Benigni di essere un “comunista ebreo, miliardario, e senza contenuti”. Aggiungeva poi Tuccio: “Il fatto che io non provi simpatia verso il popolo ebreo, non credo sia un’offesa“. Pronte sono partite le reazioni, e Tuccio, con le inevitabili scuse ha pure detto: “mi occupo di altro nella vita e Facebook è solo un gioco”. No, assessore Tuccio, non è un gioco, e non possiamo accettare le sue parole “ho sbagliato e chiedo scusa”, sarebbe troppo facile. Lei è liberissimo di non provare simpatia verso il popolo ebreo, ed anzi, come ebreo, mi sento del tutto a mio agio per tale sua affermazione, visto che proviene da lei. E tuttavia non pensi che le sue scuse possano avere un significato per una società civile. Deve prima imparare a conoscere, e poi imparare a riflettere. E’ un percorso lungo e difficile che dovrà percorrere completamente se vorrà arrivare ad un traguardo dove altri, con le sue stesse origini politiche, sono pervenuti. L’Unità ha dedicato a questo episodio soltanto una breve, ed anche questo è tristemente sintomatico. Che poi questa realtà di antisemitismo puro si allarghi sempre di più anche in Italia ce lo dimostra l’articolo pubblicato su Libero a firma di Brunella Bolloli; il quotidiano gratuito romano Cinque giorni ha preteso di attaccare il sindaco Alemanno per avere assunto quale propria portavoce Ester Mieli, cittadina di religione ebraica. Immediate, anche in questo caso, sono partite le reazioni, ed il direttore di Cinque giorni Longo ha pensato di difendersi scrivendo che, per lui, il problema sta nei valori etici. Già, direttore Longo, su questo concordo pienamente; il problema sta nei valori etici. Anche lei, come l’assessore Tuccio, deve studiare e riflettere, e, nel frattempo, lasci fuori certi argomenti dalle sue pur legittime polemiche politiche.
Vibranti sono altre polemiche, in Israele e nel mondo, per alcuni episodi della cronaca israeliana; su alcuni mezzi pubblici che servono quartieri superortodossi, le donne devono sedere in coda, separate dagli uomini. Questa non è una regola generale valida in tutto il paese, ed appare piuttosto come l’accettazione, giusta o sbagliata che sia, di una richiesta fatta da una minoranza di cittadini e da applicarsi solo su di loro. Inoltre in alcune manifestazioni organizzate da Tsahal dei militari ortodossi si sono allontanati per non ascoltare delle soldatesse che cantavano; qui appare a chi scrive che la responsabilità di questo atto debba ricadere su chi si è allontanato, e non sullo Stato che, al contrario, ha sempre riconosciuto alla donna israeliana gli identici diritti dei quali gode l’uomo. Questi episodi stanno alla base di un severo intervento di Hillary Clinton, che si è pure commossa in nome della solidarietà femminile, ed il suo intervento è ripreso oggi da Adrien Jaulmes sul Figaro; Hillary arriva a parlare di “degradazione dei valori democratici in Israele”. Quando poi la Clinton giustifica il suo intervento sostenendo che la politica americana vuole sostenere i valori della società civile in giro per il mondo, viene voglia di chiedere al Segretario di Stato che cosa rinfaccia, in proposito, a tanti altri suoi alleati, a partire da quello saudita, o anche al nuovo, grande amico Erdogan, che non si preoccupa di mandare in prigione chi, ad esempio, scrive sui quotidiani cose sgradite al suo regime. Hillary Clinton si esprime anche contro il progetto di legge, ora bloccato prima di essere discusso alla Knesset, che prevede severe limitazioni contro i finanziamenti esteri ad ONG di sinistra; il mondo in generale, e quello ebraico in particolare, devono comprendere che Israele è un paese sotto assedio, a rischio continuo di annientamento, e quindi, di fatto, è come se fosse in stato di guerra permanente. Quando organizzazioni come B’Tselem dichiarano apertamente (ero presente io stesso) di non voler guardare a che cosa succede tra i nostri nemici, di non essere interessati a denunciare che cosa ha suscitato le reazioni di Israele, ma di voler soltanto denunciare al mondo queste reazioni, credo che un controllo da parte dello Stato di che cosa succede in queste organizzazioni sia del tutto comprensibile. Anche negli US sono in vigore simili disposizioni, e quindi la Clinton farebbe bene ad astenersi dal criticare Israele senza anche guardare a quanto succede in casa sua ed in quella degli altri suoi alleati.
Sempre Hillary Clinton, in compagnia di Sarkozy, ha deciso di far rientrare il proprio ambasciatore a Damasco, come scrivono oggi il Manifesto e, soprattutto, Maurizio Molinari che, su la Stampa, scrive del grave rischio che, dopo la eventuale fine del regime alawita, correranno le tante minoranze presenti in Siria. Questa realtà siriana appare oggi ancora aperta a tanti sbocchi; come si legge in un editoriale apparso sul Foglio, la Russia ha inviato nei porti siriani le proprie navi militari, gli USA stanno inviando alcune portaerei che hanno già attraversato il canale di Suez, e l’Iran difende Assad con tutti i suoi mezzi militari e tecnologici. Che questi ultimi poi siano molto avanzati è dimostrato dal fatto che i pasdaran sono riusciti a far atterrare, quasi intatto, un drone che avrebbe, al contrario dovuto autodistruggersi. Che poi la situazione del Medio Oriente sia pericolosa come non mai ce lo spiega un secondo editoriale del Foglio, a commento del rapporto dell’American Enterprise Institute che considera certa la costruzione della bomba nucleare iraniana entro un anno. Prima delle prossime elezioni USA non è ipotizzabile un intervento militare di Obama, e ci si deve domandare anzi se esiste ancora la volontà di contenere l’avversario dall’uso della bomba nucleare; oggi gli USA non sono pronti alla deterrenza contro un Iran nucleare. A questo si deve aggiungere, per completare il grave quadro, come scrive Maurizio Stefanini su Libero, che l’Arabia Saudita ha deciso di costruire 16 reattori nucleari sul proprio territorio. Certamente neppure questi, come quelli iraniani, non serviranno, nella realtà, per usi medici o per costruire la pur necessaria energia elettrica.
(Per motivi tecnici il commento alla rassegna di mercoledì 7 dicembre viene pubblicato oggi)
Emanuel Segre Amar