Sulla modestia

Chi ha la fortuna, in queste prime giornate invernali dell’anno civile, di trascorrere qualche momento sulla neve, magari con gli sci ai piedi, si guardi bene intorno. Il suo vicino di seggiovia potrebbe essere un gigante della Torah, uno dei rabbini europei più autorevoli e stimati. Quando non si dedica agli studi talmudici e alle responsabilità comunitarie, al gran rabbino di Francia Gilles Bernheim piace schiarirsi le idee all’aria aperta e sfrecciare sulle piste. Recentemente il quotidiano parigino Le Monde (forse la più autorevole testata giornalistica europea assieme al Financial Times e alla Frankfurter Allgemeine), gli ha domandato come si senta la guida spirituale dei 600 mila ebrei francesi (la terza realtà ebraica al mondo dopo Israele e Stati Uniti), quale equilibrio fosse possibile fra tradizione e modernità. Il Rav Bernheim ha risposto con un esempio che difficilmente avrebbe potuto essere più chiaro, spiegando che sua moglie (la grande psicanalista alsaziana Joelle Bollack) nasconde regolarmente i suoi capelli sotto la parrucca seguendo fedelmente la tradizione della modestia (Tzniut) ebraica, ma che né questo né gli altri segni di una stretta aderenza alla tradizione potevano essere interpretati come un fattore di arretratezza, di chiusura, di scarsa voglia di vivere la vita.
“Per alcuni ebrei – commentava il Rav – essere liberali ed essere fedeli alla tradizione non può andare assieme. Il liberale sarebbe colto, non penserebbe a D. tutta la giornata e coltiverebbe interessi diversificati. Si tratta di un luogo comune ridicolo e pericoloso che da liberale e da ebreo ortodosso vorrei sfatare”.
Mi sono tornate alle mente le sue parole quando negli scorsi giorni molti giornali italiani hanno riferito ai lettori di uno sconcertante e odioso fatto di cronaca: una bambina israeliana tornando da scuola è stata umiliata, offesa e aggredita sulla via di casa da ebrei ortodossi appartenenti a gruppi oltranzisti che si accanivano su di lei rimproverandola di non aderire agli stretti canoni di modestia nel vestire adottati nelle loro comunità.
La questione ha suscitato diverse polemiche e assurde manifestazioni che hanno messo in luce come alcuni ambienti ortodossi israeliani fatichino a mantenersi in sintonia con una società avanzata quale quella che Israele può vantare. Alcuni collaboratori del Portale dell’ebraismo italiano sono intervenuti presentando la propria legittima opinione, ognuno, come è tradizione dalle nostre parti, in uno spirito di totale libertà, ma senza l’intenzione di ferire i sentimenti altrui. Ho intanto osservato con grande pena come i giornali (talvolta valendosi purtroppo della firma di alcuni ebrei italiani) si siamo avventati su questo penoso caso per affrettarsi a criminalizzare l’intero mondo degli ebrei ortodossi in una precipitosa generalizzazione per cercare di infamare centinaia di migliaia di individui, talvolta molto diversi fra loro, che hanno scelto di dedicare la vita allo studio e alla comprensione del messaggio che resta alla radice di ogni possibile modo di essere ebrei. Per cercare di equiparare una stretta aderenza alla tradizione religiosa ebraica con la cultura aggressiva e sessista che inquina l’estremismo islamico. Un tentativo di linciaggio ha sempre bisogno di appoggiarsi su un pretesto più o meno fondato. In questo caso la sciagurata azione di qualche imbecille che dovrà fare i conti con la Giustizia israeliana ha fatto da appiglio per sfogare l’ansia diffamatoria nei confronti di Israele e degli ebrei di cui il mondo dei media della cultura dominante offre continui spunti.
Mi sono poi confrontato, nel profondo rispetto per le loro personali opinioni, che ovviamente non coinvolgono né le posizioni dell’Ente editore né quelle della redazione, con gli interventi di alcuni editorialisti che collaborano al Portale dell’ebraismo italiano. Dal Tizio della sera (dietro questo pseudonimo si cela un noto scrittore italiano che ci onora della sua amicizia), alla storica Anna Foa, dall’architetto e già vicesindaco di Gerusalemme David Cassuto all’autrice romana Elena Lattes.
Pur comprendendo le ragioni, le emozioni e lo sdegno di ciascuno, devo confessare che in ognuna delle loro voci ho avvertito la mancanza di un elemento fondamentale.
Non mi sembra il caso di leggere la realtà di Israele e la realtà dell’ebraismo ortodosso sulla base delle semplificazioni diffuse dai media della cultura dominante. Né mi pare possibile banalizzare un volgare episodio di teppismo, pur se inquietante, screditando e liquidando frettolosamente la tradizione ebraica della modestia, che non ha niente a che fare con le prevaricazioni dell’estremismo islamico, non prevede (anzi dovrebbe prevenire) aggressioni ai danni altrui, non riguarda esclusivamente il modo di vestire, ma in realtà, se intesa correttamente, dovrebbe portare a un profondo rispetto degli altri in quanto persone, della loro sensibilità e del loro pudore. Proprio quei sentimenti che il bombardamento della cultura popolare maggioritaria e la macchina dei media cercano di cancellare.
Chi ha commesso crimini e prevaricazioni (resi moralmente ancora più ripugnanti dal tentativo di mascherarli dietro una pretesa adesione alla Legge ebraica) paghi per le proprie colpe. Ma questo non ci autorizza a cancellare disinvoltamente un patrimonio di sensibilità e di cultura che se utilizzato correttamente dovrebbe proteggerci dagli esibizionismi e dalle volgarità. Un patrimonio che è alla base dell’animo ebraico e da cui noi ebrei contemporanei abbiamo ancora molto da imparare. Speriamo che le nostre guide spirituali e politiche possano continuare a fornirci esempi luminosi per proseguire lungo un cammino fedele alle nostre radici più autentiche di consapevolezza, di crescita e di modestia.

Guido Vitale