Voci a confronto

Si è svolto ad Amman il primo incontro “ufficiale” tra palestinesi ed israeliani dal settembre 2010 (senza considerare gli incontri “clandestini” dei quali ha parlato il presidente Peres), e, nonostante le tre ore e mezza di colloqui i risultati sembrano essere scarsi. Chiarissima la dichiarazione che questo incontro “non significa la ripresa dei negoziati”. Sembra, a chi scrive, che il commento a questo incontro più chiaro tra i tanti che siano stati scritti sia quello di Barak Ravid, Avi Issacharoff e Natasha Mozgovaya (Haaretz), pubblicato ancor prima che le delegazioni si riunissero. Al di là delle parole di prammatica pronunciate dai capi delle due delegazioni, appare oramai che, al momento, si debba solo aspettare il prossimo 26 gennaio, scadenza ultima impostasi dal quartetto per riportare le due parti al tavolo del negoziato. Lapidario il commento di Vanguardia: “scetticismo”.
Per restare nell’area israelo-palestinese, interessante l’articolo di Daniel Pipes pubblicato su Liberal a commento della visita del primo ministro del neo-stato del Sud Sudan a Gerusalemme; dopo una guerra di secessione durata quasi 50 anni, e dopo tanti massacri, Israele sembra portare a casa i frutti di una politica lungimirante di aiuti, e che potrebbe ora ripresentarsi con i curdi, con Cipro, coi berberi e, in un futuro non troppo lontano, anche con un Iran post-islamista.
H.D.S. Greenway firma sull’International Herald Tribune un severo attacco alla politica israeliana, come è normale per tale testata; l’autore considera la politica colonizzatrice di Israele alla stregua delle politiche colonizzatrici di Francia, Inghilterra, Germania e Portogallo, e risponde alle critiche di non guardare a quanto succede ad esempio in Siria adducendo a pretesto la oramai troppo lunga guerra tra israeliani e palestinesi. Per il sottoscritto non è possibile affermare che i tre NO di Khartoum sono diventati, per la Lega Araba, tre sì, e non si deve tacere che la barriera “alta ed implacabile” si è dimostrata purtroppo utile e necessaria. Riconosco condivisibili solo le parole finali di questo articolo: “questa è la tragedia di Israele”, ma non basta scriverlo se poi non si fa la doverosa analisi.
Di grande interesse, e molto articolata come sempre, la continuazione dell’inchiesta di Giulio Meotti sulla realtà presente e futura di Israele, divisa tra laici, ortodossi ed ultraortodossi, tra gli abitanti che vivono nei confini tradizionali e gli abitanti di Giudea e Samaria, tra Tel Aviv e Gerusalemme. Importanti sono i cambiamenti illustrati da Meotti degli atteggiamenti della maggior parte dei religiosi nei confronti dello stato. E’ probabile che questa sua inchiesta susciterà ancora le reazioni di alcuni che la pensano in modo diverso, ma al sottoscritto questa inchiesta sembra voler guardare in profondità nelle infinite sfaccettature di un mondo che è bene studiare per comprenderne la continua evoluzione.
Su Nazione, Carlino e Giorno si trova un interessante commento su quello che sembra essere il pensiero del Capo di Stato Maggiore Benny Gantz di fronte alle minacce iraniane; bisogna comunque pensare che non sempre la realtà mostrata coi fatti e con le parole dai responsabili israeliani corrisponde a quanto è realmente nella loro testa, come infatti il breve articolo ricorda (subito prima della guerra dei sei giorni venne annullata la mobilitazione generale). Fausto Biloslavo esamina sul Giornale il braccio di ferro che continua tra USA ed Iran; anche Claudio Gallo ne scrive su La Stampa, suggerendo che la diplomazia sia l’unica strada; ma bisogna pur chiedersi se con certi regimi si possa trattare per guardare solo a eventuali risultati di breve respiro. Livio Caputo sul Giornale si chiede se Obama e Sarkozy si muoveranno contro Assad, sulla falsariga della guerra contro Gheddafi; appare difficile una simile mossa dopo il previsto fallimento della recente missione della Lega Araba. Stefano Magni, su l’Opinione, riporta le dichiarazioni dei leaders dei Fratelli Musulmani che negano di potersi mai sedere accanto agli israeliani; il trattato di pace firmato tra Egitto ed Israele nel ’79 rischia di venire presto abrogato da un referendum, risultato tragico della politica di Obama. In Libia, come scrive Gianandrea Gaiani su Libero, gli scontri tra le diverse fazioni continuano sempre molto duri, col rischio evidente di una futura vittoria di Al Qaeda, ed anche nella vicina Algeria, come scrive Maurizio Stefanini ancora su Libero, i religiosi sembrano mettere una seria ipoteca sul proprio ruolo nel futuro del paese.
Giacomo Galeazzi su La Stampa ricorda la morte, avvenuta l’ultimo giorno dell’anno, di Juri, l’ing. Jerzy Kluger che era stato compagno di classe e grande amico di colui che sarebbe divenuto papa Giovanni Paolo II; logico che la loro amicizia, rinsaldatasi quando giunse a Roma il vescovo Wojtyla, abbia procurato grandi cambiamenti nei rapporti tra la Chiesa ed il mondo ebraico, ma è importante che questi miglioramenti possano continuare ora che i due amici sono entrambi scomparsi.
Serge Klarsfeld, in un articolo su Le Monde, parla della legge in discussione in Francia contro i negazionismi; la Francia ha sempre sostenuto questa tesi, fin dal periodo della sua guerra contro l’impero Ottomano, ed ora mette a frutto il lavoro di tanti storici. Una simile legge appare necessaria per ridurre il rischio che simili tragedie si ripetano.
Infine da menzionare l’articolo pubblicato dal Secolo d’Italia che raccomanda il rientro in Italia dei corpi dell’ex re Vittorio Emanuele II, sepolto ad Alessandria d’Egitto, e di sua moglie, sepolta a Montpellier; rifiuto di leggere la frase nella quale si parla del “suo rispetto per l’ebraismo” e il riferimento alla tragica sorte della figlia Mafalda, morta a Buchenwald; queste parole servono solo ad appoggiare la richiesta che potrebbe essere ammessa solo per il lungo tempo trascorso dalla morte del re.

Emanuel Segre Amar