Voci a confronto
Ancora storie di esplosioni “islamiche” in estremo oriente, dopo quelle di ieri in India ed in Georgia, che riportano ad un Iran che si proclama, ovviamente, del tutto estraneo; questa volta, tuttavia, due cittadini iraniani si fanno subito beccare in Thailandia confermando, in tal modo, quanto le autorità israeliane, Barak in primis, stavano dicendo da alcuni giorni. Lo si legge, in particolare su La Stampa (Alessandro Ursic) e sul Giornale (Gian Micalessin). In Iran, intanto, si prepara una serie di modifiche al codice di procedura penale; poco ci si può attendere da correzioni apportate dai personaggi al potere a Teheran, ed infatti Vanna Vannuccini scrive su Repubblica che ci sono molti casi nei quali il giudice può decidere in piena autonomia, e un editoriale di Avvenire scrive, tra le righe, a proposito della lapidazione (ma non sarebbe stato opportuno un qualche commento? ndr) che sarebbe prevista “l’eliminazione o perlomeno il silenzio”. Anche oggi Michele Giorgio sul Manifesto si scaglia contro Israele, sotto il titolo “Love under apartheid”. Dove vigeva il regime di apartheid bianchi e neri non potevano neanche contrarre matrimonio, né frequentare scuole comuni, bisognerebbe ricordare al “polemista” del manifesto, ma oggi fa almeno sorridere quando scrive per i suoi ingenui lettori che “Israele si oppone (ai ricongiungimenti familiari) per evitare incrementi demografici”. Verrebbe voglia di suggerire a Giorgio di evitare di scrivere, in futuro, che per “i palestinesi non è semplice ottenere un permesso di soggiorno in un altro paese anche arabo”; se i suoi lettori ci riflettono su, potrebbero porsi domande pericolose per la causa. Tobias Buck firma per il Financial Times un altro dei suoi articoli sul quale bisognerebbe riflettere a lungo per la gravità di alcune affermazioni; non vi è dubbio sul fatto che Hamas stia conquistando “nel mondo arabo confidenza, alleati e legittimazione”, ma bisogna almeno dubitare sul fatto che negli USA ed in Europa sia ancora davvero al bando. E’ forse sufficiente il fatto che Hamas si stia allontanando da Siria e Iran (nonostante il recentissimo viaggio dei suoi capi a Teheran, presentati anche ad un pubblico osannante)? è forse corretto affermare che “alcuni suoi membri sono pronti a moderare le loro posizioni”? non è forse da ingenui far finta di non capire che cosa si cela dietro la “separazione tra l’ala politica (che starà coi Fratelli Musulmani) e quella militare” che pur dovranno “mantenere una totale collaborazione”? Il nuovo Egitto ed il Qatar spingono Hamas a unirsi a Hamas, i cui leader vogliono la legittimazione internazionale e la leadership palestinese, e Buck sembra contento di poter chiudere il suo articolo con le parole di uno di questi capi: “crediamo che il futuro sia nostro”. La posizione dell’estrema sinistra (forse anche quella di casa nostra, pensando alle polemiche di questi giorni), sembra tuttora molto vicina a quella del rais siriano Assad; Marinella Correggia scrive sul Manifesto che l’Esercito Siriano Libero non sarebbe tanto composto di ufficiali e soldati “che si rifiutano d sparare su gente comune”, ma “in realtà è responsabile di uccisioni di soldati e civili siriani (elenchi documentati), e di atti di sabotaggio e di terrorismo”. Anche su queste parole ci sarebbe da fare una attenta riflessione… L’Osservatore Romano pubblica una breve nella quale riferisce che Obama ha chiesto al Congresso di confermare 1.3 miliardi di dollari di aiuti militari all’Egitto, malgrado le recenti tensioni; in mancanza di ulteriori dettagli bisognerà aspettare qualche giorno per poter meglio comprendere il significato di questa notizia. Ethan Bronner firma un articolo per l’International Herald Tribune, ma sarebbe stato necessario partecipare al recente seminario organizzato a Yad Vashem per poter meglio comprendere il significato di alcune affermazioni che il giornalista riporta oggi; si legge di un taiwanese che dichiara che “prima di venire qua credevo che (l’Olocausto) fosse stato peggiore di così”, o, più avanti, che “Israele deve lasciare da parte Auschwitz che è una prigione mentale”. Per il sottoscritto non è casuale che queste parole siano ora riportate proprio da una testata come l’Herald Tribune. Per chiudere, infine, un po’ di gossip, che gossip tuttavia non è: “ebreo, cristiano e musulmano allo stesso tempo” dichiara il figlio di Oliver Stone che da cristiano, con un nonno ebreo, si è convertito all’Islam sciita in Iran. Belle potrebbero essere, in senso astratto, le sue parole, se questo fosse davvero possibile, ma il fatto che siano state pronunciate proprio in una terra dove i capi religiosi vogliono uccidere tutti gli ebrei per permettere… Rendo l’idea, signor Sean Ali Stone?
Emanuel Segre Amar