Qui Torino – In scena il processo sul destino degli uomini

Un tema non nuovo ma affrontato con rigore e impegno, in un dramma teatrale che merita di essere visto. “Processo a Dio” di Stefano Massini è stato scelto dall’Associazione ex Allievi e Amici della Scuola Ebraica di Torino per chiudere al Teatro Murialdo gli eventi comunitari legati al Giorno della Memoria. Ed è stata la compagnia Il Teatro del Rimedio, con la regia di Mario Piazza, ebreo torinese, anche lui ex allievo della scuola ebraica, ad affrontare in una lettura-spettacolo davvero avvincente il testo di Massini, ricreando sul palcoscenico uno dei ‘processi’ che gli ebrei tennero dopo la fine della seconda guerra mondiale e la liberazione dei campi di sterminio nazisti. La scena è cupa e incombente. La storia è ambientata nel campo di Lublino-Maidanek all’indomani della sconfitta nazista; appena i cinque personaggi entrano in scena ha inizio uno scambio di ruoli incalzante tra vittima e carnefice che lascia attoniti. La protagonista è un’attrice, Elga Firsh, ebrea deportata a Maidanek: sopravvissuta alla catastrofe, Elga reclama il diritto a processare l’ufficiale nazista che, agendo come un giudice divino, le ha risparmiato la morte per le sofferenze del suo popolo. E così, in una baracca di legno prima dell’alba, i cinque personaggi tengono il loro drammatico processo davanti all’ufficiale nazista divenuto loro prigioniero. Accanto a lei, protagonisti del processo sono altri ebrei che compongono la giuria e il rabbino Nachman, con la funzione di avvocato della difesa. I capi d’accusa avanzati sono documentati all’interno del campo, grazie alla raccolta di indiscutibili prove a danno dei nazisti. Processare il Creatore significa, infatti, riconoscere l’esistenza di un’entità superiore che decide del destino degli uomini. Elga, così come la giuria, non cerca vendetta, ma risposte a domande quasi impossibili a porsi, risposte che di fatto nessun processo potrà mai fornire in quanto “l’Eterno non si interroga” e dal momento che “sono 5.700 anni che gli ebrei processano, secoli che vivono nei lager, gridano, non si arrendono, vogliono sapere. Un processo corretto presuppone l’assunzione di non colpevolezza fino a prova contraria”. Elga Firsch reclama la propria necessità di individuare un colpevole e porta le prove concrete a sostegno di cinque capi d’accusa. “Mai e poi mai avrei pensato – ha dichiarato l’autore in un’intervista sulla sua opera – che il processo che poi avrei in effetti scritto avrebbe avuto per imputato D. stesso, portato alla sbarra da una compagine improvvisata di sopravvissuti di Maidanek. Un processo che non avrebbe avuto luogo in nessuna aula, bensì in un fatiscente magazzino rimasto orfano del Reich. L’avvicinamento fu graduale. Mi ero imbattuto in strani testi storici su questo argomento, trovando il tema di forte attualità, inaudita attualità. Potente mi sembrava l’assurdità necessaria del confronto creatura-Creatore e altrettanto potente quella sfida rabbiosa fra terra e cielo”. Uno dei molti interrogativi che scaturiscono dallo spettacolo è certamente volto a capire se l’ufficiale nazista rappresenti solo uno strumento nelle mani di un Creatore impietoso, o piuttosto la forma che il caso ha preso per determinare il destino di un intero popolo. Elga Firsch lo accusa ma non può negarne l’esistenza e finisce per affidargli un verdetto facendosi a sua volta strumento della sua volontà. Ha ancora dichiarato Stefano Massini: “L’elemento che più mi attraeva era comunque la possibilità di poter raccontare l’Olocausto spostando il punto di vista narrativo sul ‘dopo’ e non sul ‘durante’, lasciando quindi che il mattatoio tedesco si intravedesse sullo sfondo del suo avvenuto fallimento, della sua rovina ormai chiaramente in atto. Ricreare teatralmente un processo del genere mi avrebbe forse offerto l’occasione per portare in scena lo sterminio senza fotografarne un estratto, bensì lo spiazzamento disorientato che segue la conclusione di ogni shock e ci vede brancolare nel primo tentativo di ricostruire un senso logico di normalità. Ho letto da qualche parte che il primo istinto dell’uomo dopo qualsiasi trauma sta nel riprendere il controllo accertando la catena di causa-effetto: solo quando tutto è chiaro – solo quando la nebbia si dirada – può riprendere il corso normale delle cose. La mia sensazione è che questo urgente momento di ‘ricerca’ possieda un fortissimo valore drammatico che ci appartiene in quanto uomini e come tale ci riguarda tutti”. Lo spettacolo è duro, il testo è forte, ma racchiude significati davvero profondi: la regia e la recitazione asciutta e severa di Mario Piazza e la freddezza della protagonista, Maria Grazia Gotro, rendono assai bene le inquietudini e il senso delle vicende umane.
La compagnia Il teatro del Rimedio è disponibile a portare in giro la sua lettura-spettacolo, un’autentica lezione di storia aperta.