Voci a confronto

Anche questa settimana i lettori mi permetteranno di iniziare la mia rassegna con una domanda che è opportuno che ci si ponga tutti quanti: che cosa succede nella nostra Europa? Siamo proprio sicuri che quella storia che credevamo chiusa per sempre e relegata nei manuali scolastici non si ripresenterà in futuro? Giulio Meotti ha pubblicato un articolo in inglese che invito i lettori a leggere, perché attira l’attenzione sul rischio, un po’ ovunque, di ritrovarsi con un Quisling del XXI secolo, magari ancora una volta norvegese. I fatti sono, giorno dopo giorno, sempre più evidenti.
In mancanza oggi, nel circuito che mi fornisce gli articoli da recensire, dei giornali stranieri, l’attenzione maggiore dei commentatori è rivolta agli ultimi avvenimenti in Siria dove forse il regime sta aumentando il controllo sul territorio, ma a costo di terribili sofferenze per i “ribelli”. Cecilia Zecchinelli sul Corriere (così come Alberto Stabile su Repubblica e Umberto De Giovannangeli su l’Unità) descrive i vergognosi metodi usati da Assad per torturare i detenuti. Sicuramente gran parte di queste affermazioni, che provengono anche da documenti di Amnesty International, sono corrette, ma viene da chiedersi come mai oggi ci si scaglia solo contro i crimini siriani, preferendo non vedere quelli, non molto diversi, dei regimi usciti dalle recenti rivoluzioni, o di quelli che da queste, al momento, non sono state toccate. Daniele Raineri sul Foglio riprende uno scoop di Al Jazeera che ha sorpreso il direttore della CIA Petraeus in un albergo di Ankara in una missione che avrebbe, forse, dovuto restare segreta; evidentemente poco o nulla si può sapere su quanto USA e Turchia stanno architettando insieme, ma dalla lettura di questo articolo (e di altri dei giorni scorsi) viene da chiedersi come un paese come la Siria possa davvero creare difficoltà agli USA anche solo se si volesse imporre una no fly zone; è difficile dire se sarebbe utile, ma è difficile pure ammettere una simile realtà. Susan Dabbous, in un altro articolo sul Foglio, dà spazio a voci secondo le quali gli alawiti potrebbero decidere di ritirarsi nel nord ovest del paese, sulla costa mediterranea, in una zona ricca e ben difesa dalle montagne circostanti; già se ne era parlato (Daniel Pipes) durante la crisi del regime degli anni ’90, ma appare una strada comunque pericolosa per un Assad che non potrebbe poi resistere ad attacchi (che sicuramente sarebbero violentissimi) portati dai sunniti sostenuti da sauditi e turchi, una volta che avesse perso il controllo del paese.
Di grande interesse è l’articolo di Maurizio Molinari su La Stampa: se si dovessero interrompere le forniture di greggio iraniano (4 milioni di barili al giorno), solo l’Arabia Saudita sarebbe oggi in grado di aumentare la propria produzione, ma non abbastanza per supplire a questa mancanza; in tale pericolosa situazione la Cina sta aumentando le proprie riserve e ciò, insieme al rischio di crisi, fa schizzare verso l’alto il costo del petrolio, sempre più vicino ai 130 $/barile. L’aumento del costo del petrolio sta, da parte sua, causando un forte calo di popolarità per Obama (in un mese scesa dal 50 al 41%), colpevole di aver bloccato provvedimenti che avrebbero ridotto la dipendenza petrolifera degli USA dall’estero. Un editoriale pubblicato su Tempo riporta le dichiarazioni di Obama e del primo ministro britannico Cameron che, al termine del loro incontro, si sono dichiarati contrari ad un eventuale attacco israeliano contro l’Iran, e fiduciosi nel successo della loro diplomazia e delle loro sanzioni; ma quando poi i due si dicono orgogliosi dei loro successi militari e del freno all’avanzata dei talebani grazie alle loro strategie, viene da domandarsi quale realtà stiano raccontandoci.
Una breve su Tempo (e su numerosi altri quotidiani) riporta la delibera del Parlamento egiziano che dichiara Israele nemico dell’Egitto e sollecita il rientro in patria degli ambasciatori dei due paesi; il Parlamento egiziano non ha potere decisionale sulla politica estera, ma certo il futuro delle relazioni israelo-egiziane corre il serio rischio di un ulteriore grave peggioramento.
Non manca, anche oggi, una serie di criticabilissimi articoli su Rinascita; in particolare, in un editoriale, si legge che i problemi dei cristiani nei diversi paesi del Medio Oriente deriverebbero dall’intromissione militare di stati stranieri (sembrerebbe quella israeliana e quella americana in Iraq). Limitandomi a quanto succede in Israele, osservo che per Rinascita i cristiani hanno dovuto abbandonare Gerusalemme a causa dell’occupazione militare israeliana. Il fatto che i numeri dicano l’esatto contrario, e proprio solo per i cristiani di Israele, non deve interessare ai lettori (pochi per fortuna) di Rinascita.
Anna Foa pubblica su Avvenire una recensione dell’ultimo libro di Fiamma Nirenstein, e fa specie leggere che l’affermazione di Fiamma secondo la quale gli ebrei non si sono mai allontanati da Gerusalemme e non vi hanno fatto ritorno sarebbe, in quei termini, “eccessiva ma non priva di una parte di verità”. Anna Foa vuole forse accentuare l’importanza del ritorno dalla diaspora, ma non si può negare la verità delle parole di Fiamma, oggi purtroppo negate da troppi per biechi scopi religioso-politici.
Arrigo Petacco su Nazione Carlino Giorno riporta i risultati delle ricerche fatte dal duca Amedeo d’Aosta per trovare una terra per gli ebrei in Etiopia all’epoca dell’occupazione italiana; una zona “ideale”, salubre e senza troppe moschee né chiese, era stata trovata in una zona con delle montagne vicino al Kenya.
Infine Giovanni Preziosi su l’Osservatore Romano cerca, ancora una volta, di dimostrare che anche a fianco di monsignor Palatucci (come di tanti altri religiosi cattolici) Pio XII si adoperò per aiutare gli ebrei.

Emanuel Segre Amar