Voci a confronto

Non c’è una notizia che oggi primeggi così come, peraltro, per tutta la durata della settimana trascorsa le parole della carta stampata si sono trascinate su di sé, a volte involvendo in quella forma peculiare dell’informazione contemporanea che è l’autocitazione, di cui alcune testate sono maestre. Si crea un “caso”, lo si mette in circolazione come se fosse un evento (o corrispondesse ad un fatto concreto) e poi si stimolano le reazioni al riguardo, confidando negli effetti di ricaduta e, di rilfesso, nei beneficili commerciali che da ciò dovrebbero derivare. Il cossiddetto gossip, ossia il pettegolezzo, ne è la forma compiuta, celebrando l’infotainment, l’informazione-spattacolo, come stadio “maturo” della comunicazione temporanea. Dopo l’impatto civile (e mediatico) della tragedia di Tolosa, velocemente archiviata per l’ingestibile eco che avrebbe altrimenti ingenerato (mancando così del tutto, sia pure con la lodevole eccezione del quotidiano Le Monde e di una parte della stampa francese, una riflessione sul milieu mentale e subculturale dell’assassino, ovvero su quella miscela micidiale di furore, rancore, desideri inappagati, mancanza di speranze, furia di rivalsa che sta alla base dei fondamentalismi religiosi ed in particolare di quello islamista), gli eventi – e la loro rilevanza, nonché narrazione, in un ambito pubblicistico – hanno riassunto una forma più prevedibile se non scontata. Ci pervengono così frammenti di discorsi, perlopiù orecchiati, misura tangibile di una risacca che contiene non solo la scarsità informativa ma anche l’eco della indisponibilità di molti ad essere informati. Come sempre il discorso non va generalizzato ma ha comunque i suoi riscontri, soprattutto laddove la parola più ricorrente è «crisi», dalla quale si scappa con la mente e la fantasia non appena è possibile. Perché, d’altro canto, concentrarsi su qualcosa di per sé angosciante quando si ritiene di non avere gli strumenti per ovviare ad esso? Il mattinale della rassegna ci consegna così dei richiami ad articoli di varia umanità, più che a dei temi di immediata cronaca. L’approfondimento di merito è naturalmente possibile per ognuno di noi, fermo restando che i quotidiani non possono assolvere ad una funzione eccedente la loro natura di comunicazione diretta. Così, allora, per quanto scrive Giovanni Belardelli sul Corriere della Sera, recensendo il saggio di Richard Holfstadter sullo «stile paranoico», ovvero il convincimento che dietro i fatti della politica, come della vita associata, vi sia sempre una mano oscura che ne indirizza l’evoluzione. Ci sia concesso, nel merito del testo di Belardelli, obiettare su alcune considerazioni che egli attribuisce allo storico Franco De Felice (che nulla ha a che fare con il ben più noto Renzo), laddove il concetto di «doppio Stato», già coniato nel 1941 dal politologo Ernst Fränkel per definire il funzionamento degli apparati amministrativi tedeschi all’epoca del nazismo, serviva a definire una differenza tra la normatività (la sfera della legalità giuridica) e quella della discrezionalità (riconosciuta ai singoli titolari della funzione politica ed amministrativa), laddove la seconda derogava, con il ricorso sistematico alla violenza, alla persistenza della prima. Né lo studioso di origine tedesca né De Felice intendevano avvalorare immagini ed interpretazioni di natura complottista, battendo semmai il tasto sul fatto che nelle moderne società, tanto più in quelle a regime autoritario se non totalitario, un potere pubblico può essere iniquo anche in presenza di leggi basate sull’equità, queste ultime mai formalmente abrogate. De Felice poi, si riferiva ad una discrezionalità di altro livello, quella che a suo dire avrebbe animato una parte delle amministrazioni pubbliche italiane in età repubblicana, laddove alla lealtà al dettato costituzionale per alcune di esse si accompagnava anche un vincolo, non meno intenso, nei confronti degli equilibri internazionali in campo atlantico, rivelandosi in ciò poco o nulla propense all’ipotesi di un eventuale mutamento di indirizzo politico rispetto a quello fedele al rapporto con gli Stati Uniti. Sempre in ambito di rassegna culturale, e sempre sulla medesima testata, si leggano le recensioni positive, a tratti quasi entusiastiche, di Alessandro Piperno (scrittore egli stesso) all’ultimo libro di Ron Leshem e quella di Lorenzo Cremonesi al fumetto di Guy Delisle «Cronache di Gerusalemme». Giulio Busi sul Sole 24 Ore parla invece di «allosemitismo» e «proteofobia» (leggere l’articolo, e magari il libro richiamato, per capire). Il politically correct fa invece capolino ancora una volta nell’intervista che Giovanni Marinetti, sulle pagine del Secolo, fa a Roberto Cotroneo nel merito della richiesta, avanzata da un comitato di consulenza delle Nazioni Unite, di escludere Dante Alighieri e la sua «Commedia» dall’uso didattico, in quanto autore (e testo) omofobo, antigiudaico, islamofobo e quant’altro. A sostegno della intollerabilità di tale pretesa si spende anche Annalisa Terranova, sempre sullo stesso giornale. Da notare che l’occasione è – per così dire – ghiotta nel tirare per i capelli una citazione a favore anche di Ezra Pound e Louis-Ferdinand Céline, due autori “apocalittici” molto graditi all’area politica alla quale la testata si rivolge. Peraltro non si può non rilevare come ogni forma di divieto istituzionalizzato, e come tale sancito da una qualche norma di legge, ingeneri, insieme alla proibizione, l’aura di desiderabilità che il vietato porta sempre con sé. Verrebbe quasi da scommettere sul fatto che un Dante, ridotto ad improbabili catacombe del pensiero, potrebbe conoscere una rinnovata eco sia tra i lettori abituali che tra i tanti, troppi indifferenti. Qualche brandello di più stretta attualità politica è quello contenuto nell’articolo di Alberto Negri per il Sole 24 Ore riguardo al futuro degli Assad e della Siria nello scacchiere geopolitico mediorientale. Ancora una volta la variabile salafita emerge come un elemento che si è rafforzato in tutta la regione in questi ultimi due anni. Laddove si dovesse pervenire ad una qualche stabilizzazione risulterebbe di certo come il fattore a maggiore incidenza nei cambiamenti delineatisi con il tracollo dei regimi cosiddetti «laici». Roberto Bongiorni, sempre sul quotidiano della Confindustria, ci racconta di come i nostri portafogli stiano finanziando la prosperità delle monarchie del Golfo (ma no!?) e con esse del welfare negli Stati sui quali esercitano una sovranità puntellata dai trasferimenti di ricchezza ad una parte dei sudditi. Il surplus budgetario è oramai una costante nell’esistenza di quei paesi, la qual cosa rende un po’ più improbabile che essi conoscano una versione locale della «primavera araba». Lì il sole picchia duro, per così dire. Ed anche altro saprebbe come picchiare, poiché alla carota si accompagna sempre il profilo del bastone.

Claudio Vercelli