Storie – Addio a Sasà, il partigiano di via Rasella

Addio all’ultimo gappista di via Rasella. L’ex partigiano Rosario Bentivegna, 89 anni, nato a Roma il 22 giugno 1922, è spirato ieri pomeriggio, nella sua abitazione capitolina, dopo una vita ricca di battaglie e di impegno civile in politica (nei partiti di sinistra), nella professione di medico e nel sindacato (l’Inca-Cgil).
Il 23 marzo 1944, nel periodo oscuro dell’occupazione nazista della capitale, fu proprio il giovane Bentivegna, detto Sasà, allora studente di medicina dagli occhialini rotondi, travestito da spazzino, ad accendere la miccia dell’esplosivo che fece saltare in aria 32 soldati del Battaglione Bozen (nei giorni seguenti il bilancio finale dei morti salì a 44, compresi due civili italiani). A ideare l’attacco era stato il suo amico Mario Fiorentini, intellettuale dai capelli arruffati, figlio dell’ebreo Pacifico, sfuggito miracolosamente alla retata del 16 ottobre 1943. I tedeschi “punirono” i romani con l’eccidio delle Fosse Ardeatine, nel quale furono barbaramente assassinate 335 persone, tra cui anche 75 ebrei.
Per quell’azione Bentivegna subì vari processi nel dopoguerra, dai quali usci sempre assolto, e fu oggetto di violente polemiche giornalistiche. Il 7 agosto 2007 la Corte di Cassazione (sentenza 17172) stabilì definitivamente che via Rasella era stato un “legittimo atto di guerra rivolto contro un esercito straniero occupante”.
Uno dei ricordi più toccanti di Bentivegna è venuto da Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, in trasferta a Cracovia per un viaggio della memoria: “E’ morto un eroe. Un eroe soprattutto per noi ebrei della seconda generazione, figli di sopravvissuti. Un uomo coraggioso che con poche armi in mano ha impaurito l’occupante nazista”. “E’ triste – ha sottolineato Pacifici – aver saputo che negli anni la sua figura, in certi ambienti, sia stata associata a quella dei vigliacchi; che alcuni abbiano sottolineato che dopo l’attentato di via Rasella avrebbe dovuto costituirsi; che altri, ancora più malignamente, sostengano che il non essersi costituito sia costato la vita a 335 italiani. La versione dei fatti fu un’altra: non ci fu il tempo per costituirsi perché la furia nazista colpì senza preavviso”. La comunità ebraica, ha detto Pacifici, si impegnerà “in accordo con la famiglia ad organizzare una serata per ricordare l’opera del partigiano Bentivegna, a cui dedicheremo la piantumazione di alberi come da tradizione ebraica”.
Messaggi commossi di commemorazione di Bentivegna sono giunti anche dal presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti (“Fa parte di un gruppo di uomini e donne che ha permesso a noi di vivere in un paese democratico”), dall’Anpi nazionale, della cui presidenza era membro onorario, dall’Anpi romana (“E’ stato un grande eroe della Resistenza italiana”) e dagli amici ex partigiani, da Mario Fiorentini a Massimo Rendina.
L’ex partigiano, il cui nome di battaglia era “Paolo”, medaglia d’argento della Resistenza (“assegnatagli dal presidente Luigi Einaudi e consegnatagli dal premier Alcide De Gasperi”, come opportunamente ricordato da Rendina), dopo essere stato da ragazzo un entusiasta balilla, sui banchi del liceo passò nelle file antifasciste. Uno dei motivi principali fu l’emanazione delle leggi razziali del 1938. “All’epoca – mi ha raccontato in un colloquio rimasto in parte inedito – frequentavo il liceo Virgilio, che si trovava al Ghetto, e avevo diversi compagni di scuola di religione ebraica, tutti bravi ‘balilla’. Ricordo che la mia famiglia frequentava Renato Sacerdoti, allora presidente della Roma e grand commis della borsa romana, poiché mio zio Giulio Burali d’Arezzo era il suo avvocato. La politica antisemita di Mussolini mi risultò subito incomprensibile e inaccettabile”.
Fu durante il periodo della Resistenza che conobbe e s’innamorò di Carla Capponi, anche lei partigiana e gappista. Si sposarono dopo la liberazione di Roma (più tardi si separarono, rimanendo però sempre in ottimi rapporti). Dalla loro unione nacque la figlia Elena, alla quale fu dato il nome di battaglia di Carla.
Proprio l’anno scorso Bentivegna, assieme alla storica Michela Ponzani, aveva pubblicato il suo libro di memorie, intitolato “Senza fare di necessità virtù” (Einaudi), spendendosi con passione in un faticoso tour di presentazioni nelle quali insisteva nel concetto che “la Resistenza a Roma fu una cosa seria e non fu solo via Rasella: potrei citare decine e decine di azioni delle varie formazioni partigiane contro i fascisti e i nazisti, l’attività svolta dai militari guidati dal valoroso colonnello Montezemolo e la solidarietà attiva della popolazione”.
Comunista sui generis, libertario e anticonformista, Bentivegna nel ’56 si schierò contro il partito, condannando l’invasione sovietica in Ungheria. Il terrorismo degli anni ’70 e la violenza dei gruppi di sinistra extraparlamentare furono ferocemente criticati da Bentivegna come fenomeni di “avventurismo”. Nel 1985 la decisione di uscire dal Pci, per i profondi dissensi con la linea “consociativa” del partito di Berlinguer. Negli ultimi anni aveva preso la tessera del Pd nella sezione storica di via dei Giubbonari e aveva pubblicamente dichiarato la sua avversione verso il terrorismo islamico e la sua solidarietà ad Israele: “Sono ancora comunista perché credo nel superamento dello stato di cose presenti. Ma sono un comunista libertario, contro tutti i tiranni, contro tutti gli integralismi, anche quello dei comunisti. Nel ’56 ho condannato l’invasione in Ungheria e adesso sono contro la sharia, i kamikaze, i talebani. E fin dal 1948 sono dalla parte d’Israele e ci sto ancora”.

Mario Avagliano