Tea for Two – Amore di libro

Non so bene quando possa essere iniziata, ma ho la netta sensazione che sia una storia seria. Abbiamo una relazione complicata, fatta di illusioni, di promesse non mantenute, di candele che si spengono al primo colpo di vento. Poi, però, ci sono i momenti delle famigerate farfalle nel vituperato stomaco, delle giornate passate a riflettere insieme. Per me sono come le monete di Zio Paperone, i libri intendo. Ognuno è legato a un preciso momento della mia vita, ognuno è gelosamente custodito nel Deposito. Ognuno ha un suo carattere che ho imparato a capire con il tempo: c’è il capriccioso che non vuole dare soddisfazione, c’è il libro fin troppo generoso che ti regala la sua anima. Ci sono le pagine smaglianti e insostenibilmente leggere ed anche quelle polverose che racchiudono tormenti. La mia numero uno? La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare di Sepulveda è il primo libro letto alle elementari. La balia che però mi ha svezzata è stata/o Roald Dahl, le parole nuove invece le imparavo da Topolino (ricordo ancora un fumetto nel quale Archimede spiegava cosa fosse l’oblio). Non posso poi dimenticare la collana young adult delle Ragazzine con le copertine fluo evidenziatore e i titoli lunghissimi del tenore: Em se ne è andata, Meg è fidanzata e io cerco la mia strada o Volevo fare la modella quando mamma mi vuole piccola e cicciotella. Poi i quindici e i sedici anni, Shabbath trascorsi a leggere freneticamente, instancabilmente: passare da una infinità di chick lit (i libri per gallinelle che seguono lo schema fisso: lei sfigata, simpatica e perdutamente single/ lui attraente, rampante e smisuratamente ricco. Amore. Incomprensione. Tutto va a rotoli. Lui realizza di essere un idiota. La insegue. Vissero felici e contenti in una casa in collina) ai classici della letteratura inglese come Jane Austen, che poi sono chick lit anche questi, solo con abiti vittoriani e lessico elaborato. Un sabato sera non sono uscita con le mie amiche accampando una qualche scusa dignitosa. Ero con Emily Brontë ragazze. Heathcliff mi faceva girare la testa, non potevo di certo buttarmi a capofitto nella vita reale nella quale il massimo del delirio romantico sarebbe stato un drink offerto in discoteca. Poi l’arrivo all’università che è coinciso con una lettura che inserisco in ogni donde: Anna Karenina. Sono andata alla Feltrinelli di Largo Argentina, il Tiffany dove passano le paturnie (per chi fosse interessato i reparti migliori nei quali trovare una poltroncina sono quello dei libri fotografici al piano di sotto e quello di critica letteraria al piano superiore) e ho scelto l’edizione con la copertina che preferivo. Lì è iniziata una nuova fase di questa relazione, lì c’è stato il salto di qualità. Lì abbiamo deciso di convivere. Ho passato mesi a leggere Anna Karenina, a consultare le note, a portarmelo ovunque. Inspiegabilmente lo capivo, mi piaceva. Trovo sia terribile leggere determinati libri prematuramente. Quando arriva il momento lo capisci. Il mio mito era Oblonskij, il fratello di Anna, una canaglia fatta e finita. Pensare che avevo iniziato a leggere il libro per il nome del gatto dell’Eleganza del riccio, Levin, come uno dei protagonisti. Non ringrazierò la Barbery mai abbastanza. Così la fase Tolstoj ebbe inizio, tutto veniva ricondotto a lui e solo lui era contemplato: La felicità domestica, La morte di Ivan Il’ic, La sonata a Kreutzer e Padre Sergij, da furbacchiona ho letto i più brevi. Un amore intenso, esclusivo, totalitario. Ma certe relazioni brucianti è meglio tenerle a bada. E poi c’erano ancora così tante storie da scoprire. Non potevo certo fermarmi al canuto Lev che ogni tanto veniva scosso da una crisi mistica. Allora ho conosciuto Richler e Svevo, che avevo sempre guardato impaurita. Un esame mi ha introdotto al Romanzo del novecento di Debenedetti che ora ha un posto d’onore nella libreria ed ogni tanto vezzeggio un po’. Potrei parlare per ore dei miei amori, dei libri futili e divertenti, del cimitero dei libri iniziati e mai finiti che mi osservano severi e sdegnosi. Ma forse è meglio far concludere a qualcuno che aveva davvero qualcosa da dire, l’Italo Calvino di Se una notte d’inverno un viaggiatore: “Già nella vetrina della libreria hai individuato la copertina col titolo che cercavi. Seguendo questa traccia visiva ti sei fatto largo nel negozio attraverso il fitto sbarramento dei Libri Che Non Hai Letto che ti guardavano accigliati dai banchi e dagli scaffali cercando d’intimidirti. Ma tu sai che non devi lasciarti mettere in soggezione, che tra loro s’estendono per ettari ed ettari i Libri Che Puoi Fare A Meno Di Leggere, i Libri Fatti Per Altri Usi Che La Lettura, i Libri Già Letti Senza Nemmeno Bisogno D’Aprirli In Quanto Appartenenti Alla Categoria Del Già Letto Prima Ancora D’Essere Stato Scritto. E cosí superi la prima cinta dei baluardi e ti piomba addosso la fanteria dei Libri Che Se Tu Avessi Piú Vite Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono. Con rapida mossa li scavalchi e ti porti in mezzo alle falangi dei Libri Che Hai Intenzione Di Leggere Ma Prima Ne Dovresti Leggere Degli Altri, dei Libri Troppo Cari Che Potresti Aspettare A Comprarli Quando Saranno Rivenduti A Metà Prezzo, dei Libri Idem Come Sopra Quando Verranno Ristampati Nei Tascabili, dei Libri Che Potresti Domandare A Qualcuno Se Te Li Presta, dei Libri Che Tutti Hanno Letto Dunque E’ Quasi Come Se Li Avessi Letti Anche Tu”.

Rachel Silvera, studentessa