Voci a confronto

La coincidenza, e la quasi sovrapposizione, delle festività ebraiche (al riguardo la nota AlefBet di Daria Gorodinsky su il Corriere della Sera) e cristiane (Gianfranco Ravasi per l’Osservatore Romano come Enzo Bianchi sulla Stampa ) sembrano corrispondere ad un periodo di relativa tregua sul fronte delle notizie più o meno spicciole. La qual cosa, come già si è avuto modo di osservare, non implica che non siano avvenuti fatti degni di un qualche rilievo. Così allora Luca Geronico Caputo, per Avvenire riguardo alla guerra (civile) in corso in Siria o altri ancora, come Francesco Battistini sul Corriere della Sera (dove è intervistato il presidente palestinese Abu Mazen, in occasione della visita del nostro premier in Medio Oriente, resocontata sul Sole 24 Ore da Dino Pesole e Alberto Negri) nonché Livio Caputo, per il Giornale. Al di là di questi frammenti, più o meno interessanti, sono gli scenari nazionale ed internazionale a non offrire spunti per considerazioni inedite o di una qualche urgenza. Una qualche eccezione andrebbe fatta per le vicende che stanno coinvolgendo il Mali, sul quale si avrà probabilmente modo di tornare nei tempi a venire, essendo un’altra potenziale area di infezione della patologia fondamentalista. Dopo di che alla giornata in corso si confanno di più le riflessioni introspettive e cogitabonde, come quella di Giulio Sapelli per il Corriere della Sera in merito ai suicidi per ragioni economiche, o di Bruno Forte, teologo e vescovo, che ragiona su Pesach e Pasqua su il Sole 24 Ore. Sulla medesima testata si segnala l’articolo di Irene Soave e Domenico Scarpa sulla storia di un sillogismo, l’«essere ebrei di qualcun altro», affermazione attribuita a Primo Levi ma in realtà farina del sacco di Filippo Gentiloni, in un articolo comparso allora, ossia nel 1982, su il Manifesto. Più in generale, Carlo Ossola ci offre uno spaccato interessante delle molteplici articolazioni del cantiere intellettuale che Alberto Cavaglion ha aperto da tantissimi anni sullo scrittore e testimone torinese. Siamo molto lontani dal sensazionalismo che ha fatto di Levi, suo malgrado, una sorta di personaggio da usare, più o meno propriamente, per fargli dire qualsiasi cosa, insieme al suo immediato contrario. Una sorta di moderno oracolo, dove alla misura e alla mestizia che accompagnavano le sue opinioni, formulate mai assertivamente né, tanto meno, prescrittivamente, si sostituiva lo sguardo stranito e ossessivo della Cassandra. Nulla di più lontano, evidentemente, dall’indole morale e civile che accompagnava la scrittura di un sopravvissuto che sapeva quanto quella condizione non si fosse conclusa con la liberazione da Auschwitz. Ci sia infine consentito, in questa breve nota, un rimando alla guerra jugoslava di cui, in questi giorni, ricorre il ventesimo anniversario dell’inizio dell’assedio di Sarajevo (dove perirono più di diecimila persone), attraverso l’articolo di Matteo Sacchi su Libero.

Claudio Vercelli