Il corpo nell’esperienza spirituale ebraica

Secondo incontro sul tema del corpo, la guarigione e l’ebraismo a cura del dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Un argomento sentito e trasversale che sta riscuotendo notevole interesse in diverse realtà italiane e che è stato affrontato nei locali della Comunità di Verona con grande partecipazione e intensità. Due i momenti che hanno scandito la giornata: una conferenza al mattino e un seminario nel pomeriggio. Durante la conferenza sono stati messi a fuoco leggi, riti e interpretazioni riguardanti l’alimentazione, il sonno, la sessualità e altri momenti essenziali che accompagnano la nostra vita e quotidianità. Nel corso del seminario sono state presentate invece delle strategie per migliorare la consapevolezza di questi atti come mangiare, odorare, toccare e respirare finalizzati ad un’armonica cooperazione tra anima e corpo, seguendo le indicazioni della tradizione ebraica.
A condurre questi incontri è Daniela Abravanel, psicologa e autrice di Il segreto dell’Alfabeto ebraico, Guarire per Curarsi, Cabalà e Trasformazione con le lettere ebraiche, La Cabalà e i Quattro Mondi della Guarigione. Da diversi anni Daniela si occupa di queste tematiche offrendo un interessante sincretismo tra tradizione ebraica e medicina in rapporto anche all’antica medicina cinese. Ascoltandola, passato il primo momento di scetticismo, si comprende che si tratta di una saggezza spesso dimenticata e che di frequente molti cercano altrove, nello yoga o altre discipline che più apertamente si occupano della cura del corpo. Anche la tradizione ebraica in realtà contiene molti insegnamenti a riguardo, custoditi in genere da maestri mediorientali, da cui si evince che l’attenzione al corpo va di pari passo con quella rivolta all’anima in una continua ricerca di armonia e rispetto tra le due dimensioni.
Daniela, per quale motivo hai deciso di occuparti di queste tematiche e perché pensi sia importante oggi parlare del corpo nella tradizione ebraica?
Ho dato inizio a una nuovo ciclo di lezioni sul tema del corpo nella vita spirituale spinta da una serie di motivi. La prima tra tutte è che decine di anni di studio della Torah e di vita ebraica mi hanno inevitabilmente portata a condividere l’idea del grande cabalista Benamozegh secondo il quale l’ebraismo non è solo una religione, una politica, una letteratura, una legislazione ma è anche “una cura del corpo e dello spirito, è prevenzione e conoscenza delle malattie.”
Il secondo motivo riguarda una specie di ‘investitura’ da parte del mio maestro Leon Ashkenazi za”l (detto Manitu) che mi spinse ad andare oltre il solito tracciato di studi e insegnamenti e a diffondere ciò che potremmo chiamare Torat Hanefesh. Ovvero quella parte della tradizione ebraica che si occupa della salute, della trasmissione delle strategie del benessere a cui accennava Benamozegh, dirette al raggiungimento di una più intensa vita spirituale proprio grazie a una migliore gestione della salute del corpo.
Manitu mi citava sempre Rav Kook: per troppo tempo ci siamo dedicati alla ricerca dello spirito, del ruah hakodesh, è arrrivato il momento di ricercare costruire un Bazar Kadosh, un corpo sacro, piu adatto ad essere la mercava, il cocchio dello spirito.
Chi sono stati i tuoi maestri?
Dopo Manitu furono Rav Ginzburg, Ester Kitov e Rav Adin Steinsaltz. Ma negli ultimi due anni la più profonda ispirazione è giunta da una serie di operatori del benessere ispirati dalla visione ebraica olistica: medici, psicologi, omeopati, neuropsichiatri, artisti e musicisti ebrei ortodossi che avevano rivolto l’attenzione al tema della guarigione della nefesh, cosi come la insegna il grande Maimonide, il padre indiscusso della medicina olistica e psicosomatica.
Perché e cosi importante oggi la Torah della nefesh?
La ‘crisi’ che come sempre si riflette elevata al quadrato sul popolo ebraico – in Israele rispetto alla minaccia militare iraniana e nella diaspora rispetto alla crisi di un ebraismo messo a dura prova non solo dall’antisemitismo ma anche dalle profondissime lacerazioni interiori – sta creando condizioni di stress cosi profondo che rende necessario ridare all’insegnamento della Torah la sua integrità e completezza. Così come durante l’Esodo e nel deserto il popolo di Israele fu guidato da tre ‘mefarnessim’, tre maestri (Mosè, Aronne e Miriam) che oltre a dedicarsi a insegnare l’aspetto legislativo della Torah si occupavano anche della guarigione. Oggi la diffusione di malattie gravissime causate oltre che dall’inquinamento, dallo stress e dalle difficoltà relazionali – sempre più dure in quanto, come già previsto dai saggi, ai tempi del Messia saranno i nostri stessi familiari a diventare nostri nemici – rendono necessario far tornare in campo oltre che Mosè il legislatore, anche la figura di Aronne, che guariva con il suo insegnamento e le sue benedizioni, perché insegnava ai lebbrosi e ai malati l’introspezione, sapeva mettere pace nei conflitti e benedire il popolo ‘beahava’, con amore, come è scritto nella Birchat Cohanim nel Siddur, il libro di preghiera ebraico.
E Miriam?
La Torah di Miriam è una Torah che in Israele è rinata grazie a maestre che hanno insegnato alle donne a tornare a giocare in ‘casa’, ovvero nel mondo del corpo, dell’intuizione, della natura e della creatività. La donna non può studiare la Torah come gli uomini: questo l’ho capito dopo una decina di anni di studi ‘mentali’ in cui come yentel mi cimentavo all’ascolto delle lezioni di grandi rabbini e cabalisti, da rav Ginzburg e rav Steinsaltz a ras Elon, aperte anche alle donne. Mi dettero molto queste lezioni, ma quando finalmente ho ritrovato la Torah della Shehinà, la Torah insegnata da donne a donne – una Torah insegnata con l’emisfero destro, decisa a recuperare anche il canto e la danza, lo strumento principale grazie al quale le nostre madri riuscirono a mantenere la fede e a trasmetterla ai loro mariti – ho fatto una scelta di tornare a studiare con delle rabbanit. Ho appreso solo grazie alle donne, in particolare con Ester KiTov, la moglie del più grande rebbe hassidico di Gerusalemme, il significato della sacralizzazione dell’esistenza, della vita, dell’eros, della maternità. Cose che solo una donna può insegnare ad altre donne.
Oggi alcune donne per non sentirsi escluse da un certo atteggiamento maschilista di cui in parte è vittima anche la società ebraica, iniziano a studiare scendendo in un mondo che non è il loro perdendo la rotondità del pensiero e delle proprie forme…
È grazie alle mie maestre israeliane che se oggi parlo del mikve (il bagno rituale) a donne che non lo praticano legandolo a tutto ciò che ho appreso per anni non solo da loro, ma dal mondo della psicologia e della medicina che ne confermano l’incredibile validità come strategia della salute. Sono sorpresa di scoprire che le mie sorelle ebree sono assolutamente curiose e disposte a provare il ‘tuffo’ in questo ignoto e magico rituale. Se le mie sorelle avevano rifiutato lo Shabat o la kasherut o le norme di tahara mishpahà (sacralizzazione della famiglia) non l’avevano fatto a causa della ‘dura cervice’, ma semplicemente perché non erano stati spiegati loro tutti i benefici psicofisici e spirituali di tali regole.
A Verona ad esempio, dopo aver brevemente accennato al tema del mikvè, un folto gruppo di donne – ebree e non ebree – mi ha chiesto di spiegare qualche altro dettaglio su questa meravigliosa strategia di difesa della salute della donne e di supporto dell’unione di coppia. Mi sono stupita dalla loro attenzione, prendevano appunti, mi chiedevano dettagli. Anche i loro compagni, sinceramente interessati (anche se un po’ spaventati) nello scoprire il segreto e la profondità della sacralizzazione della vita matrimoniale.
Credi che questi principi abbiamo una valenza universale?
Come mi hanno insegnato rav Kopciowski e tutti i miei grandi maestri, la Torah è stata data nel deserto e non a Gerusalemme perché è di tutti e, che come dicono i saggi, ci troviamo in esilio anche perché dobbiamo diffonderla. Ignorare il fatto che molti non ebrei – alcuni di fatto di origine ebraica – sono spesso molto più interessati alla Torah degli ebrei e magari allontanarli credo vada letteralmente contro il processo di redenzione. Il Baal Shem Tov in un’ascesi mistica aveva chiesto quando sarebbe venuto il messia. Gli era stato risposto: “il messia verrà quando i ‘maianot’, le sorgenti della tua saggezza usciranno ahutzà (fuori)”, quando la pnimiut haTorah (il volto della Torah), trasborderà il mondo ristretto degli ebrei religiosi. Oggi sono sempre più sorpresa, nel mondo della guarigione, nel vedere che molti non ebrei utilizzano terapie completamente basate sui principi della Cabalà a partire dalle regressioni ipnotiche a reincarnazioni passate, all’uso della preghiera, del digiuno, della mediatzione a fini terapeutici. Così come – quando faccio qualche conferenza in un centro Yoga o in qualche libreria alternativa – mi trovo spessissimo di fronte a ebrei stupiti che mi dicono: se avessi saputo che la Torah tocca così profondamente tutti questi ambiti non mi sarei mai allontanato…
Il mio maestro Manitu affermava che se i rabbini non capiscono che è arrivato il momento di diffondere gli aspetti più universali della Torah anche fuori, in particolare gli insegmaneti filosofico-esistenziali, il ruolo del popolo ebraico sarà presto sostituito dal Dalai Lama. Oggi ho scoperto che la sua profezia si è avverata.
Come vedi la vita ebraica delle comunita italiane?
Potrebbe certamente essere più ‘vissuta’, non solo in sinagoga, ma nella vita quotidiana. Visto che mi occupo di guarigione, mi impressiona il numero di ebrei che si fa curare con metodi assolutamente contrari allo spirito della Torah con il beneplacito dei rabbini. Ad esempio l’uso degli psicofarmaci, inevitabile in determinate situazioni di crisi acuta o problemi neurologici-psichiatrici, rappresenta una vera e propria repressione di quella sana ansia che porterebbe alla teshuvà, al tikkun. I rabbini dovrebbero prendere in considerazione nelle loro liste di priorità il problema del numero di ebrei che vivono nel malessere a causa della totale rimozione delle cause che hanno provocato la malattia o l’ansia. Fumo, alcol e psicofarmaci hanno affossato il grido della neshamà che ci invita attraverso il malessere del corpo e della psiche, alla teshuvà e al tikkun.
Mi chiedo perché l’attenzione a non mangiare cose dannose non sia altrettanto importante che non la kasherut. Perché il Rambam vada studiato solo nelle opere halachike e non in quelle mediche. Mi chiedo per quale motivo la regola d’oro di alzarsi da tavola per un quarto affamati sia oggi ignorata dagli ebrei e presa invece in considerazione dai più seri medici che operano nel campo della prevenzione. Il fumo non è vietato severamente ‘in quanto la maggior parte degli ebrei potrebbe non astenersi e finirebbe per infrangere un precetto’ e via dicendo.
Cosa faresti per risvegliare lo spirito degli ebrei italiani?
Innanzitutto un bel ‘bagno’ nell’ebraismo israeliano. Ma quello di qualità. Dopo vent’anni in Israele posso dire di sapermi orientare tra i veri maestri e quello puramente di ruolo. Quando amici o studenti vengono con me in Israele fanno un viaggio nella pnimiut della nostra terra, incontrano rabbini, musicisti, terapeuti, gente di spirito e di cuore che non si dimenticano facilmente…
E poi direi che potrebbe esserci bisogno di un altro tipo di bagno. Quello nel mikve. In italia il mikve si usa quasi solo per dopo il periodo di nidà (periodo del mestruo), per le donne, per le conversioni e per gli uomini in determinate circostanze. Ma il mikve è stato per millenni uno strumento di rinnovamento, di risveglio, di trasformazione, di superamento dei traumi e malattie.
Penso sia anche importante dedicare giornate di studio alla riscoperta della spiritualità ebraica femminile, attraverso lo studio della vita delle donne e delle profetesse di Israele, attraverso il canto, la danza e la preghiera, la preparazione del cibo che nutre corpo e anima. Di fatto, si può cambiare la comunità solo trasformando le sue donne…

Ilana Bahbout