Voci a confronto

Due argomenti presenti nella rassegna stampa di oggi riguardano Israele. Il primo è il problema degli immigrati africani, che continua ad agitare l’opinione pubblica israeliana. Ne parla Baquis sulla Stampa, dando conto delle proteste che riguardano spesso una parte popolare del pubblico israeliano, ma soprattutto, sempre sulla Stampa interviene in loro appoggio una voce storica della sinistra come A.B. Yehoshua, spiegando che per lo più non si tratta di rifugiati politici ma di migranti economici, che la società israeliana non è in grado di integrare. Lo scrittore è dunque favorevole al respingimento di questi integrati e conclude con una proposta molto utopistica al momento attuale, cioè la loro sostituzione con la riapertura delle frontiere con Gaza, per far lavorare in Israele “qualche migliaio” di palestinesi, “dopo attenti controlli di sicurezza”.

L’altro tema è quello dei sottomarini israeliani costruiti in Germania e forse dotati di armi atomiche, su cui, dopo l’Unità di ieri, oggi solleva polemica Il manifesto, e che racconta anche Stefanini su Libero. La polemica nasce dallo “Spiegel”, organo di quella sinistra tedesca che certamente non ama troppo lo stato ebraico, anche se non vuole collegarsi all’antisemitismo del passato. Ora, ammesso che ci sia davvero un armamento atomico su quei sottomarini (Israele non l’ha mai ammesso né negato, sui sottomarini come altrove), si tratta di tipiche armi di dissuasione, che non servono a minacciare nessuno, ma garantiscono che se anche un nemico riuscisse a distruggere il paese o le sue armi, non resterebbe immune da rappresaglia: un elemento dunque di freno all’avventurismo così diffuso in Medio Oriente, un avvertimento concreto all’Iran perché non tenti un primo colpo di sorpresa: è la stesso funzione che i sommergibili hanno avuto negli anni della Guerra Fredda fra Russia e America.

Vanno ricordate ancora alcune notizie di interesse: A Milano è stato accolto cordialmente nella sinagoga centrale il futuro ambasciatore italiano in Israele, Talò (Corriere); in Francia dopo Tolosa, gli atti di antisemitismo si sono moltiplicati (Gabizon sul Figaro); domani la nazionale di Calcio impegnata agli europei andrà in visita ad Auschwitz (Gazzetta dello sport). Da leggere infine un’articolata opinione di Alan Dershowitz sul Wall Street Journal, che suggerisce un congelamento condizionale delle costruzioni negli insediamenti ebraici oltre la linea armistiziale del ’49, come strumento per utilizzare il tempo che resta fino alle elezioni americane e israeliane per far ripartire le trattative. Dershowitz suggerisce di diveidere Giudea e Samaria in tre parti, quelle che sicuramente saranno palestinesi in una divisione (le città maggiori e l’attuale zona A), in cui già Israele non costruisce, le zone che saranno certamente israeliane, come Gilo e gli altri quartieri ebraici di Gerusalemme al di là della linea verde, in cui continuare a costruire, e le altre zone da discutere, comprese città come Ariel, in cui fermare le costruzioni se i palestinesi decideranno di trattare e finché i negoziati procedano in maniera costruttiva. Il problema è che non si tratta di una proposta di soluzione, ma solo di un metodo per arrivare al tavolo negoziale; e che una soluzione del genere non accontenterebbe i palestinesi, che vogliono il blocco di tutto, e metterebbe in difficoltà gli insediamenti ebraici, dove l’espansione naturale dei nuclei familiari produce una costante domanda di abitazione.

Ugo Volli