Voci a confronto
Grande attenzione viene riposta oggi da tutti i quotidiani sul coinvolgimento dei bambini nella “guerra civile” siriana. Molti giornalisti scrivono, quasi con identiche parole, che riprendono dai circuiti internazionali, ma solo V.Ma. sul Corriere e Alberto Stabile su Repubblica denunciano che queste violenze vengono effettuate dalle diverse parti in lotta, e non solo dal regime di Assad. Stabile tuttavia parla di “record negativo” raggiunto in questa guerra, dimenticando quanto successe nel conflitto tra Iran ed Iraq quando i bambini venivano mandati davanti ai tank per far brillare le mine, e dimenticando pure che far paragoni, su questo tema, è del tutto disdicevole. Fiamma Nirenstein, oltre a ricordare anch’essa i crimini commessi pure dai ribelli, fa una attenta valutazione della situazione politica generale: Putin sta compiendo esercizi di autentico equilibrismo, pur di difendere i suoi stretti rapporti con Siria ed Iran. Assad è destinato a cadere, ma i sunniti non devono impossessarsi del potere. Nirenstein ricorda anche la delicata situazione di Israele, apparente ostaggio delle altrui dispute, come dichiarato da Larjani, presidente del Parlamento iraniano; tutte le armi che in questi giorni vengono trasferite a Hezbollah in Libano (ma l’ONU non vede niente? ndr) sono la controprova di ciò. Sergio Romano pubblica il terzo articolo di una serie dedicata al Medio Oriente e, come i due precedenti, anche questo non mancherà di suscitare polemiche, se non altro per i ripetuti silenzi su alcune verità. La mia critica parte già dal sottotitolo (non attribuibile a Romano, ovviamente), dove si legge: Una terra, due popoli, con le bandiere israeliana e palestinese. Visto che l’articolo è dedicato al regno della Giordania, sembra fuori luogo la bandiera palestinese, pur simile a quella giordana, e ancor più quella israeliana. E quali sono poi i due popoli, visto che si confrontano subito sotto i numeri degli arabi palestinesi (3.5 milioni) con quelli della popolazione arabo giordana composta da 6 milioni di cittadini? Romano scrive che la Giordania, con gli accordi del ’94, ha rinunciato a qualsiasi pretesa sulle terre del Giordano, ma tace che non ne avrebbe diritto alcuno, così come nasconde il tradimento delle direttive ricevute dalla Società della Nazioni nel momento del dono fatto dall’Inghilterra delle terre “tracciate col righello” alla famiglia degli Hussein. Dopo il ’67 la Giordania “è ancora in buona parte uno Stato palestinese” scrive Romano, ma poi si contraddice scrivendo che “i nuovi arrivati (i profughi palestinesi del ’67) sono una minaccia alle tradizioni e alla identità” giordana. Gravissimo il suo silenzio quando parla di “una crisi del settembre del 1970” senza aggiungere una sola parola su quello che fu il settembre nero, che neppure nomina con queste parole oramai storiche, pur di non dar spazio ad ombra alcuna su coloro che voglio definire “gli amici arabi di Sergio Romano”. L’ex ambasciatore preferisce spostare subito il discorso su “qualche uomo politico della destra israeliana” che avrebbe voluto “trasformare” il regno in uno stato palestinese. Al sottoscritto sembra di vedere che la primavera araba stia covando sotto le ceneri anche in Giordania, mentre per Romano un semplice “lancio di pietre contro un corteo reale” sarebbe la dimostrazione che anche nel regno Hascemita c’è già stata. Anche sul gas che non arriva più dal Sinai egiziano Romano dimostra tutta la sua volontà di non parlare di determinati argomenti per lui scomodi. A conclusione dell’articolo ne viene annunciato un quarto sulle riforme costituzionali oramai prossime; staremo a vedere. Giulio Meotti ritorna sul recente varo di un sottomarino costruito in Germania per la marina israeliana, e ricorda molto opportunamente che fu il governo socialdemocratico di Schröder, e non la Merkel, ad aver firmato il contratto iniziale. Dopo aver citato ancora la velenosa poesia di Grass, Meotti fa anche un elenco preciso dei vari accordi firmati, a partire dal 1957. Restando in Germania da notare che solo la Padania, con una breve, parla delle minacce contenute in un comunicato di al Qaeda al governo di Berlino se questo “non rispetterà i musulmani”. S.M. su Avvenire scrive dei progressi fatti per arrivare ad un accordo completo tra lo Stato del Vaticano e Israele dopo la firma nel ’93 dell’Accordo Fondamentale; le trattative in corso riguardano la vita, le attività ed il regime fiscale in Israele. Roberto Fabbri sul Giornale, dopo aver definito “moderato” il governo tunisino di Ennahda, cita i violenti disordini che scuotono il paese (ieri a seguito di una mostra d’arte), e scrive che il prossimo venerdì sono già annunciate nuove manifestazioni contro gli “attentati all’islam”. L’Osservatore Romano ritorna sulle scritte a Yad Vashem, ma incredibilmente parla di scritte di “tenore antisionista”. La Gazzetta dello sport riprende le vicende, a lungo rimaste nell’ombra, di Gino Bartali, ma lo fa in modo troppo affrettato, perdendo l’occasione di affrontare l’argomento dell’antisemitismo nel mondo dello sport. E di sport parla anche Vanguardia chiedendo che le visite ai campi fatte dai calciatori di quattro nazioni non diventino una vuota banalizzazione, in un momento in cui il razzismo dei tifosi desta gravi preoccupazioni. Il problema, scrive Vanguardia, si presenta, oltre che nel mondo del calcio, anche coi dirigenti politici, economici, sociali e culturali. Immediata controprova di quanto sia grave la situazione ce la presenta Avvenire con una breve che dice che in Ungheria un partito di estrema destra certifica che il genoma di un suo deputato non contiene tracce di sangue rom o ebraico. Svegliati, Europa, mi verrebbe voglia di gridare.
Emanuel Segre Amar