Voci a confronto

Giornate di grandi cambiamenti quelle che sta vivendo l’Egitto, o giornate che perpetueranno lo status quo? Difficile dirlo, per il momento. Ieri in piazza Tahrir dovevano avvenire importanti manifestazioni che tuttavia sono state relativamente tranquille. Ma intanto, in tarda serata, sono arrivate le notizie che Mubarak era clinicamente morto. Lo si dichiara forse clinicamente morto solo per avere il tempo di organizzarsi meglio? Per chi guarda al Medio Oriente con gli occhi di un occidentale è difficile comprendere certe realtà. Tutti i quotidiani di oggi riportano i primi commenti sul dopo Mubarak, forzatamente lacunosi. Fabio Scuto su Repubblica riporta opportunamente le parole dette dal rais nel suo ultimo discorso: la storia mi giudicherà. Roberto Fabbri sul Giornale, seguendo lo stesso ragionamento, scrive che Mubarak è destinato forse a venir rimpianto da un alleato occidentale che lo ha messo alla porta troppo in fretta. Mubarak, comandante dell’aviazione formatosi militarmente nell’URSS, all’epoca la potenza alleata dell’Egitto, stretto collaboratore di Sadat al quale era seduto vicino nel momento in cui veniva ucciso, ha saputo modificare profondamente un paese che non è tuttavia pronto per quei cambiamenti che tutti si aspettano. Se avesse lasciato il potere 15 anni fa, scrive Ugo Tramballi sul Sole 24 Ore, il giudizio su di lui sarebbe forse stato entusiasta, ma negli ultimi anni, credendo di essere un moderno faraone, ha pensato di poter dare il via ad una dinastia familiare, e questo lo ha buttato nella polvere. Il caos sembra dominare oggi l’Egitto: due uomini dichiarano di aver vinto le elezioni, ma colui che sarà eletto avrà un potere molto ridotto dai recenti provvedimenti dei militari. E lo stesso caos si ritrova in numerosi altri paesi del mondo islamico; come scrive Maurizio Stefanini su Libero, in Pakistan la Corte Suprema accusa il primo ministro di aver indebitamente protetto gli affari privati del Capo di Stato, e, come conseguenza, chiede a quest’ultimo di obbligare colui che lo difende a dare le dimissioni. In Kuwait l’emiro sospende il parlamento per un mese, sperando di riportare in tal modo tutto sotto il proprio controllo. Ed in Libia parte finalmente la campagna elettorale per una elezione che avrebbe dovuto tenersi ieri. Andrea Malaguti, su La Stampa, fissa le proprie attenzioni su un Pakistan che conta oggi 200 milioni di abitanti, con tutti i problemi che tale cifra comporta. In certe zone, come nel nord, si vive in condizioni estremamente arretrate, quasi medievali, mentre in altre la vita è quasi invidiabile, pur con un popolo furibondo contro i droni dell’alleato americano che colpiscono sul sacro territorio nazionale. La settimana passata si accennava al misterioso summit di Pechino dove erano presenti russi ed iraniani; come si legge in un editoriale del Foglio, l’agenzia iraniana Fars annuncia ora imponenti manovre navali in Siria, con la presenza di numerose navi russe e cinesi in coordinamento con l’esercito iraniano; Fausto Biloslavo sul Giornale parla addirittura di 400 velivoli e 1000 carri armati inviati da un Iran evidentemente non troppo colpito dalle sanzioni (ndr). Il commento del Foglio è che l’Occidente dimostra una particolare debolezza diplomatica. Non diversa l’opinione dell’ex Capo di Stato Maggiore, generale Camperini che, intervistato da Luisa Arezzo su Liberal, osserva che i governanti occidentali sono incapaci di porsi degli obiettivi politici, restando facile preda di reazioni emotive. Nel medio periodo, per il generale, non vi sarebbero vie d’uscita per le diverse situazioni di crisi del Medio Oriente. Sul Corriere esce la nuova puntata degli articoli di Sergio Romano, interamente dedicato alla realtà giordana. Come da copione Romano sorvola sulla nascita del tutto artificiale del regno, preferendo ricordare che il regno si è dotato di funzione pubblica, esercito e borghesia; ma dalla lettura dell’articolo si evince che, prima delle elezioni democratiche, conta ancora la scelta dei candidati fatta secondo le severe regole delle tribù. Romano intervista Mansour, uomo di punta del partito che è più vicino alle posizioni dei Fratelli Musulmani, e riporta senza commenti parole che sembrano solo voler tranquillizzare l’Occidente nascondendo le realtà del movimento (e Romano si guarda bene dall’approfondire). Le ultime parole dell’articolo dicono che, “per il momento”, il re non è ancora un bersaglio delle manifestazioni popolari. In Israele, come scrive l’International Herald Tribune, Netanyahu ha deciso di far evacuare gli abitanti di Ulpana, colpevoli di aver costruito le loro case su terreni privati palestinesi, ed i legittimi proprietari palestinesi sembrano ancora increduli di aver potuto vincere una battaglia legale grazie ai tribunali israeliani. L’articolo non fa osservare nulla sulle regole democratiche che vigono in Israele. Michele Giorgio sul manifesto scrive che dopo oltre un anno Hamas ha sparato dei razzi contro Israele, e pone in risalto la reazione dei droni israeliani, sempre vigili su Gaza, piuttosto che sulle migliaia di razzi sparati in tale periodo dalle varie fazioni che lavorano nella Striscia. Chiudiamo l’odierna rassegna con due notizie che ci giungono dall’occidente: Elie Wiesel, come scrive Alessandra Farkas sul Corriere, ha restituito all’Ungheria l’onorificenza ricevuta anni fa, a causa delle deriva verso l’estrema destra filo-nazista di alcuni massimi esponenti politici magiari, ed Alice Walker, come scrive la stessa A. Far. sempre sul Corriere, non permette che il suo recente libro “Il colore viola” venga pubblicato in Israele, reo di essere colpevole di apartheid più degli USA e forse dello stesso Sud Africa, come la Walker afferma citando Desmond Tutu.

Emanuel Segre Amar