“Per Tel Aviv una ricetta catalana”

“Voglio trasformare questa squadra nel Barcellona di Israele. Voglio portare gioco, intensità e divertimento. Sono convinto che col tempo riusciremo a fare qualcosa di importante”. Promessa di leader. Promessa di trascinatore. Promessa di Oscar Garcia, neo allenatore del Maccabi Tel Aviv, che ha modulato parole e obiettivi chiari per presentarsi ai suoi nuovi tifosi. Ad accoglierlo manifestazioni di entusiasmo come non se ne vedevano da tempo in Israele. Cori, striscioni, lunghe richieste di autografi. L’ultimo a ricevere tanto amore dal popolo del pallone di Eretz era stato il kaiser Lothar Matthaus al momento della firma con il Maccabi Netanya. Un’avventura poi conclusasi senza troppi rimpianti tre estati fa e alla quale non erano seguiti innesti con risvolti mediatici in grado di valicare i confini nazionali. Tante, tantissime storie da raccontare, compresa l’inaspettata affermazione della cenerentola Kiryat Shmona in primavera, ma carenza di nomi realmente pesanti. Nessun protagonista dell’Olimpo del calcio che accettasse di fungere da uomo immagine di un movimento in crescita che ha ancora tremendamente bisogno di testimonial. Questione di brand. Garcia è l’uomo giusto al posto giusto. Carriera di livello discreto anche se non indimenticabile con le maglie di Barcellona, Espanyol e Valencia, deve il suo appeal al marchio di fabbrica che è impresso sulla sua ancor breve biografia da coach. Oscarito, 40 anni da compiere, viene infatti dalla cantera, lo straordinario vivaio blaugrana da cui, solo restando agli ultimi anni, sono usciti alcuni nomi niente male come Puyol, Xavi, Iniesta e Messi. In pratica l’asse portante della prima squadra e della nazionale spagnola. L’esperienza biennale alla guida dei giovani catalani gli ha dato molte soddisfazioni e la voglia di confrontarsi col professionismo sulla scia di quanto fatto nel recente passato da Pep Guardiola e Luis Enrique che proprio in qualità di allenatori del Barcellona B avevano mosso gli ultimi passi decisivi prima del salto (e che salto, specie per Pep) nel calcio che conta. “Mi sento pronto, ho tanta voglia di emergere e confrontarmi con una realtà molto stimolante come Israele” ha detto in conferenza stampa il nuovo beniamino del Bloomberg Stadium. Cantera è stata la parolina magica che ha mosso gli entusiasmi di tifosi e opinione pubblica. Il divario tra Israele e Spagna a livello di campionati, palmares e mentalità agonistica è ovviamente abissale. Ma l’intenzione di Garcia è quello di seminare a fondo per riproporre questo modello vincente anche fuori dalla penisola iberica. Un esperimento provato soltanto in Italia da Luis Enrique ma che, per vari motivi, non ha avuto il riscontro sperato. Si partirà dal Tiki-taka, stile di gioco basato sul possesso palla finalizzato a far correre a vuoto l’avversario, stancarlo e quindi avere statisticamente più possibilità che si distragga e lasci spazi liberi tra le linee, per arrivare a schemi e metodologie sempre più definite. La strada per questo ambizioso tentativo, possibile spartiacque tattico per tutto il calcio israeliano – dalla Ligat Ha’Al (la massima serie) fino ai dilettanti – sembra impostata. Anche perché a capo del corpo dirigenziale c’è da qualche mese un amico e collaboratore affiatato: Jordi Cruyff, figlio primogenito del Johan profeta del calcio totale all’olandese, che da quando ha appeso gli scarpini al chiodo si è gettato con passione e buon profitto nella carriera manageriale. Garcia & Cruyff è il binomio che fa sognare Tel Aviv, nuovamente intenzionata a ritagliarsi uno spazio non solo nella pallacanestro ma anche nel calcio. E questo a nove anni di distanza dalla conquista dell’ultimo titolo nazionale (2002-2003, appassionante volata ai punti con Maccabi Haifa e Hapoel Tel Avi). Da allora è stato un susseguirsi di delusioni collimate con un malinconico sesto posto nello scorso torneo. Una batosta, un colpo all’immagine molto forte che ha anche significato l’addio a qualsiasi velleità europea per la stagione in corso. Il desiderio di riscatto è quindi fortissimo e passa necessariamente da un mercato fatto col cuore ma soprattutto col cervello. I primi rinforzi sono curiosamente spagnoli. Si chiamano entrambi Garcia: Gonzalo fa il fantasista, Carlos è un difensore centrale. Coincidenza? “Giuro che non sono miei parenti” scherza il mister.

Adam Smulevich – twitter@asmulevichmoked, Pagine Ebraiche luglio 2012