Moshe Idel: “La mistica del comprendere”

Tornano le emozioni della Notte della Cabala e del Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica. L’appuntamento è per domani sera, all’uscita dello shabbat, per una notte di arte, musica e parole che si annuncia indimenticabile. Tra gli eventi più attesi l’incontro tra il rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, e il grande cabalista Moshe Idel che al Palazzo della Cultura alle 22.30 daranno vita a un dialogo di grande intensità sul pensiero mistico ebraico, sulle sue molte correnti e declinazioni e sull’immenso patrimonio di valori in esso racchiuso.

Cominciare una ricerca nel tentativo di sciogliere la complessità di Moshe Idel significa trovarsi davanti a un oceano di articoli, saggi, testi e lezioni su argomenti complessi e a volte controversi. L’unica scelta possibile è cercare di non farsi prendere dal panico e iniziare dalle cose più semplici, quasi scontate, per provare ad orientarsi e per alimentare la speranza di riuscire a cogliere almeno un poco lo spirito con cui lo studioso – considerato il più grande esperto al mondo di mistica ebraica – affronta un mondo così particolare, e con cui ha rivoluzionato il modo di guardare tradizioni prima considerate intoccabili. Quando si parla di mistica ebraica il pensiero corre subito alla kabalah, e da lì il passaggio a Madonna e alla moda hollywoodiana è breve. Moda che per altro non scandalizza Moshe Idel, che vi accenna con l’ironia leggera che solo chi ha dedicato all’argomento una vita di studi si può permettere. La materia però è talmente complessa che il rischio di cortocircuiti anche spiacevoli è sempre in agguato: si passa con leggerezza dalla kabalah alla mistica, alle scienze esoteriche, fino ad arrivare alla magia e alla stregoneria, argomenti che proprio Gli ebrei di Saturno, l’ultimo libro di Moshe Idel tradotto in italiano e in uscita in questi giorni per Giuntina, affronta con la solita profondità. Nonostante nel mondo si diffonda principalmente come forma mistica deformata attraverso una lente new age, si possono trovare legami assolutamente imprevedibili fra questa prassi religiosa che viene da tempi lontani e lo studio dell’inconscio affrontato con le tecniche proprie della psicoanalisi. In ebraico moderno la parola kabalah deriva dal verbo leqabbel, ricevere. Non è questa una ragione sufficiente per trattarla come una tradizione intoccabile, come vorrebbe una traduzione letterale del termine. Idel spiega infatti che “La kabalah è senza dubbio una Tradizione, come tale ci viene tramandata e dunque va studiata col dovuto rigore. Cosa che non ci esime dal reinterpretarla depurandola dalle distorsioni di chi ci ha preceduto”.
Cos’è la kabalah e che insegnamento possiamo trarne, in questo momento storico?
Kabalah è in realtà un termine generico, che viene usato per indicare una varietà di scuole esoteriche emerse in Europa alla fine del XII secolo, che si sono sviluppate diventando una delle principali interpretazioni del giudaismo. Uno studio serio della kabalah può arricchire la comprensione del quadro complesso di una cultura, come si è sviluppata in Europa, nonché facilitare una migliore conoscenza della capacità creativa di una minoranza, che potrebbe arricchire la cultura della maggioranza.
Come si inserisce la kabalah all’interno della letteratura mistica ebraica?
Il misticismo ebraico compare già nelle letterature della tarda antichità, secoli prima della nascita della kabalah. Ci sono anche altre forme di misticismo ebraico che non fanno parte della kabalah, per esempio la letteratura Hasidei Ashkenazi, e ci sono stati gruppi di ebrei influenzati dal misticismo Sufi, soprattutto in Egitto e in Siria nel XIII e XIV secolo. La kabalah ha portato a una varietà di approcci spirituali ai rituali ebraici e ha creato nuove forme di teologia che hanno permesso l’interazione tra gli ebrei e D-o.
La kabalah estatica, quella che più affascina chi vi si avvicina, forse con qualche ingenuità, quanto era veramente diffusa?
Non è una risposta semplice, bisogna ovviamente fare delle distinzioni a seconda della regione e del periodo di cui si parla. Per quanto riguarda l’Italia, dal XIII secolo al Rinascimento, fu senz’altro la più studiata e praticata. Nel mondo dei kabalisti gli insegnamenti di Abulafia furono i più seguiti. Abulafia scrisse moltissimo, e i suoi manoscritti mostravano una via per raggiungere un’esperienza profetica, erano in qualche modo delle tecniche personalizzate per i molti allievi che ebbe.
La prossima domanda a questo punto è scontata: lei che è uno studioso di kabalah, ha avuto la tentazione dell’esperienza mistica?
No, me lo hanno chiesto in tanti ma io sono solo uno studioso. Gershom Scholem da giovane – ne parla lui stesso nella sua autobiografia – ha usato alcune delle tecniche che studiava, proprio per avvicinarsi più profondamente alla kabalah. Non è un caso che poi sia arrivato ad elevarla a sistema di pensiero ebraico, da porre in contrapposizione ai sistemi filosofici organici proposti da Kant e da Hegel. Non mi ritrovo in questa sua scelta: per me la kabalah identifica, anzi è, una maniera di vivere. Ritengo che il ritmo della vita sia ben più significativo delle idee, non è affatto necessario andare a cercare delle contrapposizioni filosofiche.
Con il suo lavoro e specialmente con il libro Qabbalah, nuove prospettive (Adelphi), lei ha scosso il mondo accademico. Ne è nata una accesissima controversia e lei è addirittura stato accusato di aver tradito proprio Gershom Scholem. È vero?
Forse può sembrare ironico ma proprio le mie idee, che vennero allora bollate come eretiche, hanno portato la ricerca ad avvicinarsi alla concezione più tradizionalmente ebraica della kabalah. E devo a questo punto raccontare che quando incontrai per la prima volta Sholem io ero giovanissimo. Gli esposi alcune mie osservazioni su suoi testi di epoche diverse che a me parevano essere in contraddizione fra loro. Lui fu molto secco ma si fece lasciare i miei appunti e qualche giorno dopo ricevetti una dettagliatissima risposta. Concludeva la sua lettera con una frase che non ho mai dimenticato, un insegnamento che cerco tuttora di seguire. Mi scrisse: “Benedetto colui che ti aiuta a correggere i tuoi errori invece di scagliarteli contro”.
Lei si definisce studioso, dice di non essere un mistico e non è un filosofo. Perché e come, allora, entrare nella sfera dell’irrazionale?
Definirsi razionali o irrazionali per me non ha senso. Così come non è giusto cercare delle verità nei sistemi filosofici: tutto quello che pensiamo rientra nella sfera dell’immaginario. E poi nel mondo ebraico la soggettività non è prevalente: si insegna cosa fare per essere un buon ebreo e non ha importanza se nel procedere religioso ci si sente felici o tristi. Parallelamente i kabalisti estatici insegnano una tecnica e non si sorprendono quando funziona. Lo sanno che deve funzionare, per l’ebraismo non è così strano pensare di poter entrare in contatto con Dio. L’importante è il rapporto che ci può essere tra la struttura del divino e le mitzvot che dobbiamo compiere. Sapere senza fare, senza mettere in pratica è una cosa assolutamente priva di significato.
La passione attuale per la kabalah è collegata alla maniera in cui la mistica ebraica ha anticipato lo studio psicanalitico dell’animo umano. È d’accordo?
È stata pubblicata alla fine degli anni Cinquanta una ricerca che voleva dimostrare come Sigmund Freud sia stato influenzato dal pensiero dei kabalisti. Io non credo sia vero, penso sia un’esagerazione ma è invece certo che a Vienna in quel periodo i rabbini contavano, e molto. Non bisogna dimenticare che la cultura ebraica di Freud era molto più vasta di quel che normalmente si pensa. Non mi stupirei se fosse stato influenzato dal hassidismo, mentre non credo conoscesse davvero la kabalah.
Possiamo trovare degli elementi moderni nella kabalah?
Un certo mondo intellettuale ne è attratto, pensiamo per esempio a Umberto Eco, Jacques Derrida o Harold Bloom. Nella kabalah il linguaggio coincide con la realtà, e questo è un concetto che sta diventando sempre più ovvio per tutti noi. Poi capita che certi mistici diventino integralisti perché si convincono di essere in possesso di verità assolute e nei momenti di cambiamento una convinzione forte diventa fondamentalismo. Ma il misticismo non è sovrapponibile all’integralismo.
Non è un paradosso, questo?
I paradossi ci sono solo se affronto la realtà con i miei valori, non esistono paradossi interni alla realtà. La cosa importante è capire e capire non è giudicare. Giudicare a me non interessa. Chi giudica non capisce. La realtà è complessa e nella realtà hanno spazio molte cose. L’unica cosa davvero importante è mettere a fuoco questo.

Ada Treves, Pagine Ebraiche, settembre 2012
twitter @atrevesmoked

(nelle immagini Moshe Idel disegni di Giorgio Albertini)