Uno specchio o una speranza?

Forse tra tutte le feste Simchat Torà è la più specificamente ebraica. E’ difficile infatti spiegare ad amici e colleghi non ebrei che cosa sia, e ancora più difficile riuscire a farne cogliere l’atmosfera: ci si sente quasi un po’ ridicoli a descrivere persone di tutte le età, studenti, professori, ingegneri, avvocati, che a un certo punto si mettono a ballare allegramente con dei rotoli di pergamena.
L’atmosfera di Simchat Torà varia molto da una comunità all’altra, o anche nello stesso posto attraverso i decenni. Qui un corteo di sefarim serissimo con canti maestosi, altrove danze ordinate e regolate, in un altro posto balli sfrenati, magari accompagnati da grandi bevute. Può variare in modo significativo anche il modo di coinvolgere i bambini, che ci dice inevitabilmente qualcosa sul modo di intendere l’educazione ebraica in quella comunità. Dimmi come fai festa e ti dirò chi sei? Forse solo in parte: non è detto che il modo in cui una comunità festeggia Simchat Torà sia esattamente lo specchio del suo modo di vivere l’ebraismo nel resto dell’anno: la gioia sfrenata può essere un momento di rottura rispetto a un’abituale rigidità o serietà; oppure gli usi della festa, più che descrivere la comunità com’è, indicano come dovrebbe essere. A Torino nel corso degli anni è stato raggiunto una sorta di compromesso: prima i giri seri con canti solenni, poi le danze più allegre con lanci di caramelle; c’è chi preferisce i primi, più legati alla tradizione locale, e chi invece ama di più le seconde; magari qualcuno partecipa solo alla prima o solo alla seconda parte, ma in qualche modo sono accontentati tutti; negli ultimi due anni persino le donne sono riuscite a guadagnarsi un angolino del bet ha-keneset in cui ballare. Così modi diversi, magari opposti, di vivere la festa convivono nel rispetto reciproco. Sarebbe bello se il Simchat Torà torinese fosse davvero lo specchio della comunità.

Anna Segre, insegnante