Qui Milano – Studiare per muovere lo sviluppo Bocconi e Pagine Ebraiche aprono il confronto
Rabbì El’azàr ben Azarià – citato nel corso della serata da rav Della Rocca – ha insegnato che “Se non c’è farina non c’è Torah e se non c’è Torah non c’è farina” (Mishnà, Trattato di Avòt III, 23). Questo è stato anche il senso della tavola rotonda che ieri sera ha portato quattro studiosi fra loro diversissimi per competenze e per temperamento a confrontarsi davanti a un pubblico attento e numerosissimo, molto articolato nella sua composizione (tantissimi i giovani, studenti, molti studiosi, economisti e docenti e molti esponenti della realtà ebraica e leader ebraici, fra cui i Consiglieri dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giorgio Mortara, Guido Osimo e Giorgio Sacerdoti, la responsabile delle Scuole ebraiche milanesi Esterina Dana e molti altri). In occasione della pubblicazione del libro “I pochi eletti. Il ruolo dell’istruzione nella storia degli ebrei, 70-1492”, infatti, l’Università Bocconi ha organizzato insieme a Pagine Ebraiche e a Egea, la casa editrice del volume, un incontro dal titolo “L’istruzione come leva dello sviluppo economico. Spunti dalla storia ebraica”.
Guido Vitale, coordinatore Informazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e direttore della redazione di Pagine Ebraiche, appena raggiunto da un messaggio di sostegno e apprezzamento del presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi, ha presentato i relatori – l’economista Alberto Alesina (Harvard University), la professoressa Maristella Botticini (Università Bocconi) autrice insieme all’economista israeliano Zvi Eckstein del volume, il rav Roberto Della Rocca (direttore del dipartimento Educazione e Cultura dell’UCEI) e lo storico Giacomo Todeschini (Università di Trieste) andando poi dritto al nocciolo della questione: un vivace dibattito sul futuro delle istituzioni culturali e formative dell’ebraismo italiano è attualmente in corso e tocca temi essenziali sia per l’identità sia ebraica che, più in generale, per le minoranze. In questo quadro i risultati di una ricerca come quella portata avanti per ben dodici anni dagli autori del volume sono di notevole interesse e possano avere una grande rilevanza. La professoressa Maristella Botticini, coautrice del libro, ha iniziato il suo intervento mostrando una immagine a cui, nelle sue stesse parole, tiene molto, che mostra un cannocchiale, simbolo del lavoro degli economisti, vicino ad un microscopio, a rappresentare il lavoro degli storici. A seguire una rapidissima presentazione dei risultati della ricerca, raccontati nel corposo e denso volume edito in italiano da Egea, già pubblicato dalla Princeton University Press e a breve in uscita anche in Israele per i tipi della Tel Aviv University Press, che cerca di spiegare come gli ebrei, che nel 70 E.V. erano per la maggior parte contadini analfabeti nel 1492 si erano trasformati in una piccola popolazione istruita e sparsa in una miriade di centri urbani.
Contrariamente alle spiegazioni che vengono normalmente usate – anche per combattere i peggiori stereotipi – non furono le persecuzioni o le restrizioni giuridiche a innescare questa profonda trasformazione della struttura demografica ed economica quanto un cambiamento profondo, avvenuto nel corso dei secoli all’interno dell’ebraismo. Non cause esogene, quindi, ma un processo endogeno, pur scatenato da una causa esterna, la norma religiosa emersa dopo il 70 E.V., data della distruzione del Tempio, che impone a ciascun ebreo di leggere e studiare la Torah, e di farla studiare ai propri figli a partire dai sei anni. L’istruzione, in un mondo quasi totalmente analfabeta, è stato secondo gli autori il vantaggio che ha portato alla specializzazione e all’eccellenza nei mestieri artigianali, nel commercio e a seguire nel settore finanziario.
Trasformazioni profonde, causa anche dei trend demografici che hanno visto la popolazione ebraica mondiale ridursi, principalmente a causa di conversioni volontarie, nei momenti in cui l’investimento nell’istruzione risultava essere troppo gravoso (nel periodo dal 65 al 650 E.V. la popolazione ebraica è scesa da cinque milioni e mezzo a un milione e mezzo di unità), aumentare quando cresce la richiesta di letterati, amministratori e generalmente di persone istruite e di nuovo crollare nel periodo che va dal 1250 al 1500, a seguito di quello che viene chiamato lo shock mongolo, che riporta indietro di secoli la struttura economica dei paesi a più alta incidenza ebraica, rendendo nuovamente l’istruzione un investimento economicamente non vantaggioso.
Inoltre quando si è istruiti si può scegliere di migrare, in cerca di nuove e migliori opportunità, per cui gli ebrei iniziano a spostarsi volontariamente, e vengono invitati là dove sono utili e si trovano grazie alle loro capacità, e non alle restrizioni, a fare prevalentemente mestieri altamente remunerativi, che possono ripagare l’investimento iniziale in cultura.
Analizzare la storia ebraica in termini economici porta a una visione nuova che per molti versi contrasta con ciò a cui si è abituati, e che sicuramente apre prospettive di ragionamento interessanti anche per il mondo non ebraico, in un periodo in cui gli investimenti in cultura e istruzione sono drasticamente in calo.
Il professor Alberto Alesina, docente a Harvard per un anno distaccato alla Bocconi, a cui Guido Vitale ha domandato se una simile lettura dell’economia rischia di essere esercizio per eruditi oppure porta a ragionare su un terreno strategicamente rilevante, ha sottolineato come una delle cose importanti del libro è spiegare che gli economisti non sono solo coloro che si occupano di tasse e leggi finanziarie. Gli studi economici e quelli storici, quando si intrecciano come nel caso della ricerca dei professori Botticini e Eckstein, si collegano strettamente a dibattiti in corso in ambito economico, come la rilevanza che può assumere la persistenza di certi valori culturali, o come lo studio di cultura e religione nel ruolo di motore di sviluppo economico. Si possono anche vedere analogie con la teoria weberiana e con uno studio che sostiene come il vero volano del capitalismo non sarebbe stata l’etica protestante bensì la traduzione della Bibbia voluta da Lutero, che ha permesso che tutti, anche le donne, potessero leggere autonomamente il testo. Un altro caso in cui la cultura e la religione sarebbero l’elemento catalizzatore dello sviluppo economico.
Il professor Todeschini, docente di storia medievale all’università di Trieste, dopo aver ricordato che gli storici hanno fama di essere noiosamente eruditi ma che la scienza economica era già ben presente nei testi talmudici, ha suggerito di approfondire lo studio di alcuni temi, tra cui la periodizzazione scelta per il volume e il nesso fra l’alfabetizzazione e l’acquisizione di competenze economiche. Anche l’espressione “gli ebrei”, usualmente utilizzata e che ricorre ovviamente spesso nel volume, è stata oggetto della sua attenta analisi: si tratta di un concetto in un certo senso facile, di comprensione immediata, che corre però il rischio di far dimenticare che nella storia ha significato cose anche molto differenti.
A chiudere gli interventi dei relatori è stato il rav Della Rocca, che ha iniziato ricordando come gli ebrei vengano studiati nell’ambito della storia antica, insieme a sumeri e ittiti, e vengano poi del tutto dimenticati fino alla storia recente, alla Shoah, come se in mezzo ci fosse stato il nulla.
Le date scelte dagli autori come scansione principale del tempo del libro, il 70 e il 1492 nel calendario ebraico ricorrono il 9 di av, il giorno più funesto e luttuoso, che unisce la distruzione del primo e del secondo Tempio e la cacciata dalla Spagna. Ma è proprio nei momenti più terrificanti che si è vista una spinta enorme allo studio, con un amplissimo fiorire di letteratura rabbinica e talmudica, quasi a creare una sorta di tempio spirituale, invisibile e indistruttibile. Non più monumenti, ma il passaggio alla responsabilità individuale, per cui sono i singoli a doversi fare portatori di memoria, di cultura, di studio.
L’educazione ebraica non è cosa per pochi eletti, lo stesso Talmud riporta che l’ignorante non può essere pio, e che fede e sentimento non possono essere sufficienti. E così come di sola cultura, di solo studio non si può vivere, serve anche quella farina, l’economia, che è lavoro quotidiano e necessità materiale. L’uomo in quanto tale non può esistere senza farina, ma anche chi non si preoccupa di altro non è esente dallo studio, e dalla legge.
Il libro, il cui titolo I pochi eletti non vuole riferirsi ad una posizione di privilegio bensì all’anomalia di una piccolissima popolazione che si trova ad essere istruita in un mondo di analfabeti arriva fino al 1492 E.V. e in molti si sono chiesti perché fermarsi. La risposta della professoressa Botticini è stata disarmante: “Abbiamo dedicato dodici anni di ricerche a questo volume, e i cinquecento anni successivi non possono essere risolti in sei mesi di studio… Stiamo già lavorando, speriamo di impiegare meno di dodici anni per arrivare ai giorni nostri.”
Ada Treves twitter @atrevesmoked