La nuova signora del partito laburista

Un risultato Shelly Yachimovich l’ha comunque ottenuto. Quello di aver (almeno parzialmente) tirato fuori il partito laburista dalla peggiore crisi della sua storia, gli striminziti otto seggi della Knesset che contava nella diciottesima legislatura (originariamente 13, ma ridotti nel 2011 dopo la fuoriuscita di Ehud Barak, che voleva rimanere nel governo Netanyahu). Eppure la strada da percorrere è ancora lunga per Yachimovich, se la speranza è quella di riportare il Labor ai festi del suo passato. Prima donna alla guida del partito dopo Golda Meir, Yachimovich, è nata nel 1960 nella città di Kfar Saba. Figlia di due sopravvissuti alla Shoah immigrati in Israele dalla Polonia, è stata una giornalista di successo, prima di debuttare in politica nel 2005, su invito dell’allora leader laburista Amir Peretz. Nel 2011 viene scelta per guidare il partito, portando una ventata di novità e di entusiasmo tra gli elettori delusi. Al centro delle sue battaglie sceglie di porre le tematiche sociali, di cui si è occupata con slancio sin dagli esordi della sua carriera da reporter, lasciando invece da parte la politica estera e la questione israelopalestinese. Se tutti, compresi i suoi avversari all’interno e all’esterno del partito, le hanno riconosciuto il merito di aver rivitalizzato il Labor riportando in luce la sua anima tesa al sociale, Yachimovich è diventata in fretta anche una figura polarizzante e oggetto di pesanti critiche. In particolare rivolte proprio alla sua mancanza di presa di posizione riguardo a questioni che, volenti o nolenti, rimangono costantemente al centro del dibattito dello Stato ebraico: il dossier Iran, le primavere arabe, gli insediamenti. La leader laburista si è in massima parte limitata a ribadire il suo sostegno alla road map delineata da Bill Clinton dodici anni fa. Inoltre, a lei come esponente del partito centrista più forte, almeno secondo i sondaggi preelettorali, che davano il Labor al secondo posto dopo il blocco Likud-Beytenu, è attribuita la maggiore responsabilità di non aver trovato un accordo per collaborare con Yesh Atid (C’è futuro) di Yair Lapid e Hatnua (Il Movimento) di Tzipi Livni, allo scopo di creare un fronte comune per arginare la destra. E finché il centro- sinistra israeliano non dimostrerà di essere in grado di proporre strategie efficaci sul fronte del rapporto con i palestinesi e con gli altri paesi della regione, difficilmente potrà aspirare alla guida del paese.

Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, febbraio 2012

(22 gennaio 2012)