Perché non crediamo alla magia

Torna l’appuntamento con Yom HaTorah, la giornata dedicata allo studio dei testi della Tradizione organizzata dal Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per il prossimo 10 marzo. Tema di questa seconda edizione, che rende omaggio alla figura del rav Raffaele Grassini (1952- 1992), è l’interrogativo Si può indovinare il futuro? Per maggiori informazioni sul programma nelle varie Comunità clicca qui.

Uno degli elementi distintivi e rivoluzionari della Tradizione ebraica è, accanto al rifiuto dell’idolatria, l’opposizione a ogni forma di magia. Un divieto che la Torah e i profeti ci ricordano più volte. Tale proibizione nasce dall’uso che ne facevano i pagani, i quali ipotizzavano la possibilità di utilizzare forze fuori dal controllo divino, in palese contrasto con i principi della Torah stessa.
Walter Benjamin, nell’ultima delle sue Tesi di filosofia della storia osserva: “… è noto che agli ebrei era vietato investigare il futuro. La Torah e la preghiera li istruiscono invece nella memoria. Ciò li libera dal fascino del futuro, a cui soggiacciono quelli che cercano informazioni presso gli indovini. Ma non per questo il futuro diventò per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto. Poiché ogni secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare il Messia…”. La santificazione del tempo presente diviene continuazione del passato e proiezione nel futuro. “Insegnaci a contare i nostri giorni…” (Salmo 90,12).
Vivendo più nel tempo che nello spazio gli ebrei debbono imparare a contare i giorni in termini di atti e di eventi anziché di luoghi e di cose. Lo spazio, la materialità esistono per essere santificati nel tempo. Il tempo che l’uomo vive secondo la Tradizione diviene un tempo di creazione ininterrotta. Non a caso quello della scansione del tempo è il primo precetto alla vigilia dell’uscita dall’Egitto e dall’idolatria, che come è noto è una civiltà che divinizza gli astri. La Torah ci insegna che lo scandire del tempo, del mese, del rinnovo, deve essere frutto di una nostra maturazione. Nonostante i prodigi e i miracoli l’Eterno si appella alla capacità dell’uomo.
Si esce dall’Egitto, anche in senso metaforico, se si è capaci di rinnovarsi. Noi siamo gli artefici dello scandire del tempo. L’identità ebraica si basa sull’analisi di un presente e di un passato. L’anticipazione, la preveggenza è deleteria. La captazione del futuro non è contemplata. È un’illusione mortale. L’ebreo accede alla dimensione temporale attraverso lo studio della parola divina, il lavoro quotidiano, non attraverso speculazioni di arti magiche. Colui che si esercita in pratiche esoteriche denota una scarsa considerazione del tempo e di se stesso. “Non cercate di indovinare il futuro e non fate magia” (Vaykrà; 19, 26). È evidente che in tale assunto non viene affermata la validità o meno delle arti esoteriche, ma viene evidenziato come l’uomo non debba avere con il tempo futuro un rapporto speculativo e consumistico. Deve approcciarsi al futuro facendo leva sul suo patrimonio intellettivo ed esperienziale. L’uomo, scrive Alexandre Safran, è invitato a fecondare il tempo, “zeman”, in ebraico, che è la stessa radice di leazmin, “invitare”. Il mago viene sostituito dall’ish ha-Elohim – l’uomo inviato dall’Eterno, il profeta, i cui mezzi eccezionali dipendono dall’Onnipotente. La Torah e i profeti si ergono, tuttavia, non solo contro la magia, ma anche contro l’uso improprio che il popolo fa dei precetti, contro l’idea che l’osservanza puramente tecnica dei precetti sia l’elemento sufficiente per aggiudicarsi la benedizione divina (Isaia, capitoli 57 e 58). Il tempo che l’uomo vive secondo la Tradizione ebraica diviene un Tempo di creazione ininterrotta. Un tempo che imita in qualche modo il Creatore. Ogni mattina l’uomo dovrebbe considerarsi una creatura nuova posta in un mondo, anch’esso nuovo, ogni giorno alla ricerca della propria identità. Per i nostri Maestri il concetto di onnipotenza divina esclude ogni possibilità di esistenza di una forza magica in grado di influenzare le leggi naturali e le decisioni dell’Eterno. Il termine ebraico shanah – anno, designante una unità di tempo, ricorda sia la ripetizione ciclica del tempo, sia il suo shinnui – la sua differenziazione, il suo cambiamento nelle varie epoche. Per chi vive in sintonia con questo tempo sacro la monotonia della successione e della ripetizione del tempo non esiste affatto: egli è pronto a rendere il tempo sempre nuovo attraverso un incontro sempre nuovo con il Creatore e la creazione.

Rav Roberto Della Rocca – Pagine Ebraiche, marzo 2013