Obama in Israele: speranze e nodi da sciogliere
Grandi sorrisi, parole di concordia. Così è iniziata e prosegue la prima visita di Barack Obama in Israele come presidente degli Stati Uniti. Grande è infatti l’attenzione rivolta al messaggio da veicolare nel viaggio che vuole affermare un nuovo inizio nei suoi rapporti con lo Stato ebraico, e con il suo da poco riconfermato primo ministro Benjamin Netanyahu, che hanno rappresentato un punto spinoso della prima amministrazione.
Sin dai discorsi pronunciati al momento dell’arrivo all’aeroporto di Ben Gurion nel pomeriggio di mercoledì, il clima è stato di grande cordialità. Il presidente degli Stati Uniti ha tenuto a sottolineare le profonde radici che legano il popolo ebraico alla Terra di Israele (un tema su cui in passato era stato accusato di poca consapevolezza), ribadendo la forza e l’orgoglio del legame fra i due paesi, “un’alleanza eterna”. Netanyahu lo ha ringraziato per l’inequivocabile affermazione del diritto sovrano di Israele a difendersi, e per il supporto. Una cordialità che si è riproposta anche in conferenza stampa, dove sono state affrontate questioni complesse, come l’Iran e i negoziati di pace con i palestinesi. Per il primo punto Obama ha ribadito che tutte le opzioni rimangono sul tavolo, e Netanyahu ha concordato sul fatto che ci vorrà circa un anno perché il regime degli Ayatollah costruisca effettivamente l’arma atomica. Sui negoziati, il presidente Usa ha spiegato di essere arrivato in Medio Oriente per “ascoltare prima di parlare” e capire così quale ruolo costruttivo gli Stati Uniti potranno effettivamente giocare per aiutare la regione. Dal canto suo il primo ministro israeliano ha rinnovato il suo appoggio alla soluzione dei due Stati per due popoli. Per Obama anche appuntamenti per conoscere le tante sfaccettature di Israele, dall’esposizione del meglio dell’High Tech made in Israel agli antichissimi rotoli del Mar Morto, passando per la batteria di Iron Dome, il sistema di difesa antimissile che gli Stati Uniti hanno contribuito a costruire. Ma al di là dei sorrisi e dell’entusiasmo, mentre Obama incontra il presidente dell’Autorità palestinese a Ramallah, tanti nodi restano. “Obama in Israele: i bei discorsi non bastano” avverte Jennifer Rubin, editorialista del Washington Post di area conservatrice, interpretando un sentimento che rimane diffuso, quello di una visita tardiva per recuperare un rapporto rovinato negli anni precedenti.
E a ricordare la situazione di instabilità e di pericolo cui rimane esposta l’area, stamattina razzi sparati da Gaza hanno colpito la città di Sderot nel sud del Paese (uno dei quali è atterrato nel cortile di un’abitazione), episodi condannati da Obama durante l’incontro con Abu Mazen. Mentre sin dalle prime ore della visita di Obama in Israele sono state rilevate diverse manifestazioni di protesta contro il presidente americano nei Territori, Obama ha invitato il presidente dell’Autorità nazionale palestinese a riprendere i negoziati senza porre alcuna precondizione, a differenza di quando sostenuto in passato, pur rassicurandolo sul fatto che gli Stati Uniti considerano l’espansione degli insediamenti non appropriata, né d’aiuto sulla strada per la pace.
“Se si riuscirà a tornare a negoziati diretti, ritengo che la forma per un potenziale accordo esista” ha aggiunto.
Grande è l’attesa per il discorso che Obama pronuncerà in serata al Jerusalem’s International Convention Center davanti a un pubblico di studenti delle università israeliane.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
21 marzo 2013