Lo spettacolo della Storia e i valori minacciati

Lo scenario non è nuovo. Lo abbiamo già visto con la brutale montatura giornalistica attorno al discusso saggio Pasque di Sangue. E da allora ancora molte volte, fino alla forzata spettacolarizzazione dell’ultimo libro di Enzo Traverso sulla pretesa fine della modernità ebraica che arriverà nelle librerie italiane solo nel prossimo autunno, ma intanto è parso già utile per muovere, prima ancora di sottoporlo all’attenzione dei lettori italiani, le acque stantie delle pagine dei giornali. Le operazioni culturali si susseguono da qualche anno con un ritmo sempre più incalzante. Alla disperata ricerca dell’effetto nel mirino finiscono idee che non è mai un bene dare per scontate, ma, guarda caso, vengono toccati anche anche i capisaldi della società in cui viviamo. Le basi di democrazia e di convivenza su cui è stata costruita l’Italia repubblicana per alcuni non vanno di moda.
Con l’uscita in libreria questa mattina di “Partigia” (Mondadori editore), uno storico capace e scaltro come Sergio Luzzatto mette ora nel mirino Primo Levi e con lui tutto quel mondo fortemente venato di presenza ebraica che rappresentò la Resistenza al nazifascismo e alle persecuzioni. Con orchestrato sincronismo nei grandi giornali di stamane firme autorevoli e attente alla Storia e alle vicende ebraiche (Paolo Mieli sul Corriere della Sera e Gad Lerner su Repubblica) danno conto di quello che innegabilmente sarà il libro avvenimento di questa primavera. Molte voci familiari ai lettori del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche hanno esaminato il libro e si accingono a esprimere un loro giudizio, aprendo un dibattito che rischia di infiammare le prossime settimane. Proprio su Pagine Ebraiche di maggio Alberto Cavaglion, storico della Resistenza e grande esperto di Primo Levi, denuncia senza mezzi termini i grandi rischi che le operazioni a effetto possono comportare, confondendo in definitiva le acque sulla figura di Levi, sul ruolo della Resistenza e sulle vicende degli ebrei italiani in quegli anni terribili.Sempre sul prossimo Pagine Ebraiche, con una straordinaria testimonianza, rompe il silenzio uno dei protagonisti di allora a fianco di Primo Levi, di Emanuele Artom e degli altri. Qualcuno che in questi lunghi anni e fino ad oggi ha preferito tacere e ha fatto di tutto per far perdere le proprie tracce. Ovviamente la libertà di ricerca resta un valore inviolabile. Ma al di là delle operazioni commerciali sapientemente coordinate (magari servissero almeno a far leggere più libri e più giornali in Italia e non solo a soddisfare gli esibizionismi accademici), resta una domanda. Che significa, anche nel dibattito quotidiano e nel confronto politico, questo ossessivo e regressivo guardare indietro e rileggere il presente con il metro di misura delle categorie che erano praticate negli anni del fascismo? Il nostro ruolo di ebrei e di cittadini non dovrebbe essere interpretato alla luce dei problemi e dei valori presenti? Che la guerra partigiana abbia comportato lacerazioni terribili non è una novità. Né Primo Levi ha mai fatto mistero dei travagli che prima della cattura si trovò ad affrontare. Se ne parla in molti luoghi, oltre che nell’opera dello stesso autore. E se ne tratta anche in “Il lungo viaggio di Primo Levi. La scelta della resistenza, il tradimento, l’arresto. Una storia taciuta” di Frediano Sessi (Marsilio editore) di cui David Bidussa su Pagine Ebraiche di aprile ha già offerto un’importante anticipazione.Ormai siamo un passo più in là. Quello che è nuovo, a quanto pare, in un’Italia sempre più confusa e insicura e proprio alla vigilia del 25 aprile, è l’ombra che si allunga della smania di relativizzare, di banalizzare, di svilire, di macchiare oltre ogni logica misura, proprio i nomi e i valori che simboleggiano la persecuzione, il percorso degli ebrei italiani e il loro tributo per la democrazia.

gv

(16 aprile 2013)