Moked 5773 – Quale rapporto tra Comunità e rabbini

La sfida di formare nuove generazioni di rabbini in Italia, e di assicurare che ogni Comunità ebraica, per quanto piccola, possa avere un rabbino che la guidi, ma anche i rapporti, non sempre facili, tra i rabbini e le stesse kehillot, nonché i dirigenti comunitari, poi le aspettative riposte nella figura del Maestro, i contrasti che si sono recentemente registrati tra autorevoli esponenti della rabbanut italiana e che hanno coinvolto anche il Rabbinato centrale d’Israele. Questi alcuni dei temi al centro della partecipata sessione del Moked 5773, dedicata a Comunità e Rabbini. A offrire il proprio punto di vista sono stati il rabbino capo di Padova Adolfo Locci, il consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Anselmo Calò e il rabbino Alberto Somekh, in un dibattito coordinato dal consigliere UCEI Daniele Bedarida.
“Quale tipo di rabbino vogliamo per le nostre Comunità?” questa la domanda con cui Bedarida ha introdotto la questione, ricordando il ruolo fondamentale del rav in seno alla kehillah, e le sfide poste di fronte alle Comunità più piccole, compresa quella di perdere le proprie tradizioni a causa della mancanza di Maestri di formazione italiana.
Proprio attraverso i dati relativi a quanti rabbini vivono e operano in Italia, a quali attività essi si dedicano, e a quale è la loro provenienza geografica, rav Locci ha offerto una fotografia della rabbanut delle Comunità ebraiche della penisola. Il rabbino capo di Padova ha sottolineato ancora una volta la difficoltà delle piccole Comunità a trovare un rabbino giovane disponibile a trasferirsi. Spiegando poi la sua visione dell’opera del rabbino, rav Locci ha sottolineato che “fondamentale è l’assunzione della responsabilità, in prima persona, delle proprie scelte, che penso venga sempre e comunque apprezzata dalla gente della propria Comunità”.
“Ciò che dirò si basa in buona parte sui risultati emersi dall’indagine sociologica realizzata dal professor Campelli” ha spiegato invece Calò, che si è concentrato in particolare sul rapporto con la Comunità e la rabbanut degli ebrei meno osservanti “che continuano a costituire la maggioranza degli iscritti, pur rappresentando solo una minoranza di coloro che partecipano attivamente alla vita comunitaria”. E allora, nel riconoscere come sia importante e positivo il sempre maggiore livello di osservanza richiesto da tanti, “è importante che il rav rappresenti un punto di riferimento per tutti”.
Partendo da fonti midrashiche, il rav Somekh ha poi tratto alcuni insegnamenti rilevanti per la realtà ebraica contemporanea, e in particolare sul rapporto tra la ricerca della verità e il consenso della maggioranza. “Il rabbino si trova spesso costretto in questa contrapposizione – ha ricordato rav Somekh – E’ importante ricordare che tuttavia egli ha il compito e la responsabilità di preservare le millenarie tradizioni ebraiche, anche a costo di andare contro il volere della maggioranza”.

(26 aprile 2013)