Qui Torino – Il viaggio più lungo

“Sto vivendo i migliori anni della ma vita. Ho trovato uno scopo: ciò che ho visto a tredici anni, ciò che ho vissuto, desidero che le future generazioni non lo vedano. Perché mai più accada”. A lungo Sami Modiano, sopravvissuto ad Auschwitz, ha chiuso il suo passato nel silenzio. La paura di non essere creduto non gli permetteva di raccontare la tragedia personale, di una comunità, dell’uomo. Ebreo di Rodi, ha riaperto una finestra per raccontare ai giovani la sua storia, la sua commovente vicenda di testimone di una realtà che oggi riaffiora, con grandi suggestioni, grazie al documentario del regista Ruggero Gabbai, Il viaggio più lungo, con testi degli storici Liliana Picciotto (Fondazione Cdec) e Marcello Pezzetti (Museo della Shoah di Roma). Presentata al Cinema Massimo di Torino su impulso della Comunità ebraica, la pellicola – già accolta con riscontri molto positivi a Milano e Roma – è un tuffo nei ricordi più intimi di Modiano e di altri due sopravvissuti, Alberto Israel e Stella Levi. Per le strade, nelle piazze dell’affascinante località greca, un tempo Italia, prende forma una memoria di cui sono stati a lungo custodi e che, a prezzo di atroci sofferenze, hanno voluto condividere con il pubblico del grande schermo e con i tanti giovani che regolarmente incontrano nelle scuole per costruire insieme a loro un mondo più giusto e consapevole. Dopo la proiezione, cui ha assistito un pubblico folto e partecipe (in sala tra gli altri il vicepresidente UCEI Giulio Disegni) si è aperto uno spazio di riflessione moderato dal vicepresidente della Comunità ebraica torinese David Sorani con interventi di Modiano e degli autori. Nell’occasione Sami ha spiegato ai tanti amici torinesi “perché ha vissuto” (parafrasando il titolo del suo ultimo libro, Perché ho vissuto, uscito lo scorso inverno con Rizzoli). Trasmettere valori alle nuove generazioni (e non solo), far luce e rendere vita a un mondo altrimenti condannato all’oblio. Come sottolineato anche in occasione di un recente incontro al Centro Pitigliani di Roma, ad Auschwitz Sami ha perso “2500 familiari”. Sì, perché a Rodi, nella Rodi ebraica dove è nato e cresciuto, “eravamo come una cosa sola”. Il film, il libro, la sua incessante attività di testimone della Shoah diventano così un modo “per preservarne e trasmetterne il ricordo”.

Daniel Reichel
(12 giugno 2013)