In cornice – Mosè e Michelangelo

L’episodio di Mosè che diventa scultore, riportato nella parashà di Chukkat, è tanto problematico e coreografico che intrigò perfino Michelangelo. Lo dipinse nella Cappella Sistina, basandosi, come al solito, su interpretazioni dotte ma non filo-ebraiche. Proverò a decifrarle. In Bamidbar (21, 8) è scritto che Mosè fuse o fece fondere un “saraf” di rame –nella forma di un serpente, come è scritto al verso 9 -, che sembra possedesse poteri miracolosi. Gli ebrei che lo guardavano, guarivano dai morsi dei serpenti veri e propri da cui erano stati attaccati per aver dubitato di Dio; gli altri , morivano. In uno dei pennacchi della Cappella Sistina, troviamo la scena riprodotta in modo formidabile: al centro il il “saraf”/serpente di rame, sistemato su una pertica – proprio come indicato nel commento di Rashì che Michelangelo pare conoscere. A destra coloro che lo guardano e si salvano; a sinistra gli altri, avvinghiati in un groviglio di corpi – con un effetto rivoluzionario per la storia dell’arte che anticipa le prime tendenze manieriste. La questione interessante è che nel cielo Michelangelo dipinse dei serpenti, sistemandoli fra le nuvole posizionate oltre il “saraf”/serpente nella direzione dello sguardo degli ebrei “buoni”. Cosa voleva dire? Nel Talmud (Tb Rosh Hashanà 29a) si dice che il serpente in sé non aveva alcun potere miracoloso. Gli ebrei guarivano perché, nel guardare la scultura, erano portati ad alzare gli occhi al cielo e quindi a riconoscere l’onnipotenza di Dio di cui prima avevano dubitato. Sembra quindi che Michelangelo, o chi per lui, conoscesse il Talmud, ma lo interpretavo a modo proprio. La scultura del serpente era infatti costudita nel Primo Tempio e venne distrutta appositamente dallo zelante re Hizkiyahu (Re II, 18, 4), perché il popolo credeva che avesse poteri supremi (vedi commento di Ibn Ezra alla parashà) e la idolatrava. Michelangelo, quindi, dipingendo nel cielo dei serpenti, voleva indicare che anche gli ebrei “buoni” non erano davvero “buoni”, ma piuttosto degli idolatri che attribuivano a Dio l’immagine della scultura. Potremmo dare un’altra spiegazione: già i nostri commentatori (in particolare il Ramban) si soffermano sul fatto strano, che la scultura è prima chiamata “saraf” e poi serpente. Ma i “serafim” sono in genere identificati come angeli che quindi si trovano nel cielo: Michelangelo forse utilizza l’uguaglianza “saraf” – serpente e risolve a suo modo la stranezza del testo. Per lui ogni “saraf”, anche gli angeli che si trovano nel cielo, hanno la forma del serpente, ed è questi che lui ha dipinto là in alto.

Daniele Liberanome, critico d’arte

(17 giugno 2013)