Margherita Hack (1922-2013)
“Ho scelto la libertà nel nome di Enrica”

“Apprendo con commozione la triste notizia della scomparsa di Margherita Hack, personalità di grande rilievo del mondo della cultura scientifica, che con i suoi studi e il suo impegno di docente ha costantemente servito e onorato l’Italia”. Questo il messaggio di cordoglio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano verso l’illustre astrofisica, che era nata a Firenze nel 1922. Grande scienziata e una grande divulgatrice, Margherita Hack è stata anche una donna dalla fortissima e talvolta controversa passione politica. Nell’intervista rilasciata a Daniela Gross per Pagine Ebraiche nell’estate 2010 svelò i suoi tormenti di coscienza per non aver salutato la sua professoressa di scienze, Enrica Calabresi, cacciata dall’insegnamento a causa delle leggi razziste, e ammise di non aver mai visitato Israele. (nell’immagine il ritratto di Margherita Hack firmato da Giorgio Albertini)

A segnare la svolta fu la sua professoressa di scienze, capace al tempo stesso d’indirizzarne il talento e di regalarle, ancora ragazzina, una chiara coscienza politica. Margherita Hack, astrofisica e divulgatrice notissima, incontrò Enrica Calabresi sui banchi del liceo ginnasio Galilei di Firenze. “Una donna molto chiusa e riservata”, ricorda. Ma dietro quei silenzi la professoressa Calabresi celava una carriera straordinaria e una storia travagliata che ben presto si sarebbe volta in tragedia. Figlia di una famiglia della borghesia ebraica ferrarese, si era laureata in scienze per poi assumere la libera docenza di zoologia e dedicarsi alla Società entomologica italiana, di cui fu a lungo segretario, e alle collezioni del Museo zoologico della Specola. In parallelo, una mole di prestigiose pubblicazioni sui rettili e gli anfibi africani e poi gli insetti e i coleotteri di cui descrive numerose nuove specie. In anni che vedono le donne muovere i primi passi nel mondo accademico, quella di Enrica è una storia di successo. A troncarla, all’inizio degli anni Trenta, è la politica razziale del regime fascista che la costringe a lasciare gli incarichi universitari. L’iscrizione al Partito nazionale fascista le consente di insegnare alle medie e di assumere, per un breve lasso di tempo la direzione dell’Istituto di entomologia agraria all’Università di Pisa mentre continua a fare lezione al liceo Galilei. Avviene allora l’incontro con la giovanissima Margherita che ancor oggi, a 88 anni, ricorda con affetto e commozione la sua taciturna docente.

Professoressa Hack, cosa significò per lei l’incontro con Enrica Calabresi?
L’ho vista cacciare dalla scuola da un giorno all’altro a causa delle leggi razziali. Questo mi ha aperto gli occhi su cosa può fare una dittatura e ha segnato in me una frattura: è allora che sono diventata antifascista. In quel periodo la incontrai per strada. Una figura esile, vestita in modo dimesso, che camminava rasente i muri, diretta probabilmente a quella che ora ho saputo essere la sua casa, in via del Proconsolo. Mi parve un animale braccato.

Riuscì a parlarle?
Avrei voluto dirle la mia solidarietà per quel che le stava accadendo, ma non ne ebbi il coraggio. Non me lo sono mai perdonato. Anni dopo, a una trasmissione di Piero Angela sulla Specola di Firenze, venni a sapere che negli anni successivi aveva insegnato agli alunni ebrei espulsi dagli istituti pubblici nella scuola ebraica di via Farini. E che nel 1944 era stata arrestata e portata a Santa Verdiana, un ex convento trasformato in carcere. Si sottrasse alla deportazione con il suicidio. Forse aveva perso la voglia di combattere, forse l’entusiasmo che l’aveva sostenuta grazie all’insegnamento si era spento.

L’antifascismo era un insegnamento per lei familiare…
Sono nata in una famiglia di antifascisti. Mamma e papà erano teosofi e vegetariani, a casa si discuteva assieme di politica e d’attualità. Si aveva pena degli amici ebrei colpiti dalla politica di discriminazione del regime e per qualche tempo fu nascosta a casa nostra un’amica, Amelia Debenedetti. Il figlio è diventato fisico e credo oggi lavori negli Stati Uniti. Ma non si deve dimenticare che in quegli anni noi ragazzi ci divertivamo ad andare alle adunate, a giocare ai soldati, a tifare per l’Italia. Personalmente sono diventata antifascista per le leggi razziali.

E’ vegetariana anche lei?
In vita mia non ho mai mangiato carne. E’ un gesto distruttivo, barbaro e inquinante. Amo gli animali e mangiarne mi farebbe soffrire.

Lei si è spesso battuta per la libertà della scienza, un elemento cardine della cultura ebraica. Perché è ancora così difficile conciliare scienza e religione?

Credo nella libertà in generale. Per me, atea, le religioni dovrebbero affratellare anche se finora non è stato affatto così. In Italia in particolare dobbiamo fare i conti con il Vaticano che non mette bocca sulle scienze non biologiche, ma su quelle biologiche cerca continuamente d’interferire. Basti pensare a quanto è accaduto di recente con la ricerca sulle cellule staminali, la legge sulla procreazione assistita o al dibattito sull’eutanasia e l’accanimento terapeutico.

La scienza fa paura?
Bloccare la ricerca è cosa da irresponsabili. Basti pensare alle prospettive di grande interesse aperte dalle staminali. La realtà è che nel nostro Paese l’interferenza nella vita privata delle persone è ormai diventata intollerabile. Un esempio eclatante, fuori del campo scientifico, riguarda le unioni di fatto.

E’ mai stata in Israele?

Non ne ho mai avuto l’occasione. Ma conosco tanti scienziati ebrei e so che lì il livello della ricerca è molto elevato.

Se ripensa agli anni della sua giovinezza, com’è cambiata l’Italia?

La nostra società ha fatto grandi progressi, anche nel costume. Penso ad esempio al ruolo femminile. Questo è stato uno degli aspetti positivi del fascismo, che ha aiutato a tirare le donne fuori di casa. Ma ora stiamo regredendo. Oggi la classe politica mi sembra totalmente ignorante, al punto che mi capita di rimpiangere la Dc e i comunisti. Allora, pur con tutti i difetti, c’erano degli ideali. Adesso trionfano i piccoli interessi e la corruzione. Siamo un Paese che non ha rispetto delle leggi né il profondo senso dello Stato che si riscontra in altre realtà. Viaggio molto in Italia e la gente è angosciata: poi però si vota e non cambia nulla.

Un capitolo importante della sua vita riguarda l’impegno politico. Anche di recente si è candidata alle regionali in Lombardia con le liste della Federazione di sinistra. Perché questa scelta?

Non certo per essere eletta. L’ho fatto perché tanti giovani mi conoscono, mi seguono. Chi ha una certa notorietà deve dare l’esempio e mettere in pratica ciò che pensa: questo può aprire la strada a tanta gente onesta.

C’è una relazione tra il razionalismo dell’astrofisica e l’impegno sociale?
Direi di no. Ho conosciuto tanti scienziati che erano interessati e tanti che non lo erano per nulla.

E il rapporto con la religione?
Vi sono scienziati profondamente credenti, penso ad esempio a Livio Gratton, uno dei maggiori astronomi italiani, che era un cattolico osservante. Ma è più frequente che gli scienziati siano dei laici. In ogni caso è un elemento che non influisce sul valore scientifico.

Ha mai provato la tentazione della religione?
Sono atea da sempre. Penso che Dio sia un’invenzione per spiegare ciò che la scienza non riesce a chiarire e che, nella speranza di un aldilà, rappresenta il desiderio di non morire. L’etica dell’ateo è “ama il prossimo tuo”. Noi atei crediamo di dover agire secondo coscienza in modo disinteressato: per un principio morale, non perché aspettiamo una ricompensa futura.

E la morte?
Come sostengono gli epicurei, finché siamo vivi la morte non c’è. E dopo non c’è più la vita…

Daniela Gross, Pagine Ebraiche, agosto 2010

(30 giugno 2013)