Roma – La catacomba ebraica di Monteverde tra vecchi dati e nuove appassionanti scoperte
Che lo studio delle catacombe ebraiche possa ancora offrire numerosi spunti di ricerca è del tutto ovvio a coloro che, a diverso titolo, abbiano avuto a che fare con la storia degli ebrei durante l’antichità. Che questo studio possa essere affrontato con competenza e passione lo è molto meno. Se aggiungiamo un po’ di fortuna, un occhio attento e orecchie pronte ad ascoltare, vediamo come la sinergia fra le realtà territoriali abbia potuto portare a risultati per certi versi stupefacenti. A quasi trent’anni dalla revisione del Concordato con la Chiesa cattolica che sottraeva le catacombe non cristiane alla tutela della stessa e la successiva Intesa fra lo Stato e l’Unione delle Comunità Ebraiche e la costituzione della Commissione mista (Stato-UCEI), le istituzioni territoriali attualmente preposte alla tutela e alla gestione dei beni pubblici (Stato, Provincia e Comune) hanno collaborato per portare frutti anche in un settore della ricerca fermo al momento in cui l’urbanizzazione ha stravolto e occluso molte delle possibilità d’intervento. Ben vengano dunque le ricognizioni generali che, facendo seguito a lavori sul terreno, hanno portato alla realizzazione del volume, tutto da leggere, La catacomba ebraica di Monteverde: vecchi dati e nuove scoperte a cura di D. Rossi e M. Di Mento, Roma 2013 – edizione fuori commercio a cura della Provincia di Roma e di Roma Capitale – gettando nuova luce su un tema di grande interesse e per gli sviluppi che può ancora portare.
Delle cinque catacombe ebraiche di Roma, quella di Monteverde rappresenta una spina nel fianco degli studiosi: spina dolorosa e pungente proprio perché sempre lì, pronta a spronare alla ricerca. Scoperta nel 1602, descritta una prima volta da Antonio Bosio tra la fine degli anni ’20 e l’inizio dei ’30 dello stesso secolo, a causa di alterne vicende, la catacomba è apparsa e scomparsa alla vista dei più, sulla base degli avvenimenti che interessavano i terreni sui quali era stata impiantata. Terreni già fortemente sfruttati per lo scavo di arenari (cave di pietra), diventarono, intorno alla fine del II /inizi III secolo, un luogo ideale per l’insediamento di cimiteri sotterranei ad uso delle tante diverse comunità umane sempre alla ricerca di nuovi spazi dove seppellire i propri defunti. Da quel momento e per circa tre secoli, l’area ha accolto i corpi di uomini e donne, bambini, giovani e vecchi che avevano una fede in comune. Fede che è stata riconosciuta principalmente per la presenza di simboli inequivocabili quali la menorah.
Franata, apparentemente scomparsa e caduta in oblio per più di due secoli, con la scoperta di nuove catacombe ebraiche – di Vigna Randanini nel 1859 e di Vigna Cimarra nel 1866 sulla Via Appia, nel 1882 sulla via Labicana – la catacomba di Monteverde rientra nel nuovo interesse e curiosità che tali monumenti hanno risvegliato. Terrazzamenti per vigne, nuove cave, varie parcellizzazioni delle proprietà rendono però sempre difficile trovare vecchi o nuovi accessi alla gallerie anticamente individuate nella collina. Neppure i lavori ferroviari (stazione di Trastevere) e il successivo inizio dell’urbanizzazione diedero soddisfazione ai ricercatori. Maggiore fortuna si ebbe negli anni 1902-1906 quando lavori fecero scoprire delle gallerie, nuovamente identificate grazie alla tipologia dei rinvenimenti. Rimostranze da parte dei proprietari dell’area e nuove frane non permisero però la conclusione dell’indagine e interruppero definitivamente la ricerca archeologica. Successivamente vennero segnalati solo sporadici rinvenimenti di materiali e, con la scoperta della catacomba di Villa Torlonia (1918), si chiude la serie di ritrovamenti caratterizzanti la vita degli antichi ebrei di Roma.
Da qui, nel corso del XX secolo, l’analisi dei numerosi elementi che scaturiscono dagli epitaffi ritrovati in questi monumenti, ha portato a conoscenza diverse informazioni riguardo alla popolazione ebraica dell’epoca. Ad esempio, se è vero che ben sette degli 11 nomi di “sinagoghe” provengono dalla catacomba di Monteverde, è vero che poco si sa di dove queste potessero essere effettivamente dislocate, che aspetto avessero, che funzioni svolgessero, chi le gestisse ecc. Il corpus di 258 epitaffi documentati provenienti da questo complesso funerario è stato ricostituito attraverso lo studio delle varie fonti che ce li hanno tramandati, rendendo quindi un grande servizio agli studiosi che volessero intraprendere nuove strade, trovando fra essi nuovi spunti di indagine.
Ulteriore merito del volume è quello di incorporare allo studio del sottoterra, le informazioni sulle tipologie di insediamento di tutta l’area a cielo aperto in modo da rendere con maggiore efficacia il panorama complessivo dell’area: edifici residenziali, templi, strade e cimiteri portano così ad un dialogo a più voci teso a rendere più evidente il tessuto a cui ci stiamo riferendo.
Completano l’interesse del libro alcune appendici: la prima riporta il testo della redazione originale della notizia della scoperta, preparato dallo stesso Antonio Bosio per la pubblicazione nel volume Roma Sotterranea e poi stampato solo successivamente alla sua morte con numerosi rimaneggiamenti. In esso, segnalo il riferimento alla disposizione dell’Inquisizione (ottobre 1625) per la quale era fatto divieto agli ebrei di porre pietre o iscrizioni tombali sui sepolcri dei loro defunti. La citazione, poi espunta nella redazione finale del volume curata da Giovanni Severano, rappresentava un caso quanto meno imbarazzante per le Autorità ecclesiastiche che non potevano troppo enfatizzare la scoperta di un antico cimitero ebraico e abbinarla con la contemporanea disposizione restrittiva proprio in materia funeraria!
Una seconda interessante appendice riguarda il carteggio fra le numerose autorità preposte alla tutela o interessate al monumento: la Commissione Pontificia di Archeologia Sacra, la direzione Generale delle Antichità, il Ministero della Pubblica Istruzione, il Soprintendente per la Conservazione dei monumenti che, con linguaggio non sempre burocratico, tra il 1904 e il 1914 si rimpallano informazioni e disposizioni riguardo ai nuovi rinvenimenti e la conseguente conservazione degli stessi ma, allo stesso tempo, in risposta alla richiesta di demolizione concludono: “ad un ente destinato alla conservazione dei monumenti ripugnava di consentire alla loro demolizione anche quando se ne veda inevitabile la rovina”.
Micaela Vitale
(3 luglio 2013)