Il linguaggio del cuore

somekhCi possono essere due ordini di motivazioni e di modalità nell’esplorare un paese. C’è chi desidera stabilirvisi e pertanto vuole conoscerne i lati migliori sotto il profilo della geografia, del clima e della produttività. È questo un interesse di tutto quanto il popolo in via di stanziamento, il quale invierà nel nuovo territorio un certo numero di esploratori in rappresentanza di tutte le realtà locali, ciascuna delle quali vuole sentire le impressioni del proprio portavoce. Ma c’è un’altra forma di esplorazione, intesa in senso più tecnico della precedente, ed è quella militare. Finalizzata quest’ultima alla conquista vera e propria, prende di mira non gli aspetti più attraenti, bensì i punti deboli del paese da assoggettare. A questo scopo sarà il capo ad inviare un numero ristretto di esploratori specializzati, i quali saranno chiamati a riferire soltanto a lui. Se infatti parlassero a tutto il popolo degli aspetti deteriori della terra sortirebbero un effetto controproducente. Quando Mosè ottenne da D. il permesso di inviare gli esploratori in Eretz Israel pensava ad una conquista della terra be-derekh nes, per via soprannaturale. Si figurava che grazie all’aiuto divino gli ebrei non avrebbero dovuto combattere. Riteneva che il popolo fosse interessato a questo viaggio d’avanscoperta solo per conoscere gli aspetti migliori di quel territorio che avevano ricevuto in dono. È proibito ammogliarsi senza aver prima fatto conoscenza della promessa sposa. La stessa regola sarebbe valsa per l’ingresso nella Terra Promessa: era legittimo avere una visione diretta anticipata dei suoi pregi. A questo scopo sceglie per ciascuna tribù un personaggio in vista, aspettandosi al ritorno degli esploratori una lode del paese a tutto tondo (Bemidbar 13). Ma le cose non erano nate così. Pudicamente, la Torah non ci narra subito gli antefatti. Li rimanda al successivo racconto che Mosè stesso fa in prima persona allorché richiama al popolo gli episodi di ribellione prima di morire. Apprendiamo così dal primo capitolo di Devarim che l’iniziativa degli esploratori era partita dal popolo piuttosto preoccupato di dover affrontare una conquista della terra be-derekh ha-teva’, guerreggiando con le armi per via naturale. A nulla sarebbe valso il richiamo di Mosè a non temere le popolazioni locali, perché H. avrebbe combattuto per loro (1, 29-31). Essi non avevano in realtà fiducia proprio nell’aiuto Divino: questa era la loro mancanza (v. 32). Se D. è davvero così forte – dicevano – perché non ci ha dato in possesso l’Egitto? Anche quella è una “terra buona”, eppure ci ha costretto lì ad una schiavitù prolungata! L’equivoco durò quaranta giorni, la lunghezza del viaggio di ricognizione. Mosè organizzò una spedizione del primo tipo, ma gli esploratori designati con accuratezza si prepararono piuttosto ad un reportage del secondo. Mosè chiese loro di fornire dati sulla geografia, sul clima e sulla produttività del territorio convinto che condividessero gli scopi della sua missione ed invece essi in larga maggioranza (10 su 12), dopo aver raccolto dei prodotti agricoli di dimensioni eccezionali che fornissero alla menzogna quel minimo di verità necessaria a supportarla, si concentrarono sui presunti aspetti negativi di un’eventuale conquista militare. Presi dallo loro schizofrenia, non si peritarono neppure di contraddirsi: da un lato affermarono di aver visto i giganti, ma dall’altro aggiunsero che “la terra divorava i suoi abitanti”. Insomma, dove stava il vero? Gli esploratori in definitiva confusero il proprio ruolo. Partiti con un compito assegnato ne svolsero in realtà un altro. Escludendo a priori un intervento soprannaturale commisero anche l’errore di riferire al popolo intero, anziché ai capi soltanto, quelle che secondo loro erano le pecche del paese, convinti che una conquista militare sarebbe stata a questo punto aldilà delle loro forze. Vani furono i richiami di Yehoshua e di Kalèv (i due esploratori “di minoranza”) a difesa del ruolo avuto fino a quel momento da Mosè al servizio di H. e del popolo, che si ribellò. D. li punì escludendoli dalla terra e costringendoli a peregrinare nel deserto per 40 anni, un anno per ogni giorno di viaggio degli esploratori, fino ad esaurimento di quella generazione miscredente e ingrata. Non solo. Come ci raccontano i libri biblici successivi la conquista della terra sarebbe stata ormai non più un fatto soprannaturale ma militare, con guerre, sofferenze, morti e feriti. Non solo. Gli esploratori erano tornati la notte del 9 Av, data che vide, secoli più tardi, la distruzione dei due Santuari. “Questa notte avete pianto senza motivo –commentò H. – Vi darò ora un vero motivo perchè questa resti una notte di pianto per le future generazioni”. Un arguto commentatore nota che se Mosè avesse inviato delle esploratrici anzichè degli esploratori l’esito della spedizione sarebbe stato diverso. Quando H. autorizzò la ricognizione disse a Mosè: “Manda per te degli uomini affinché esplorino la terra di Cana’an” (Bemidbar 13,2). Cosa significa “per te”? – domanda il Midrash – Di tua iniziativa. Non sono Io a comandartelo: se proprio vuoi, mandali! Dal momento che i Figli d’Israele sono giunti e hanno detto: “Mandiamo degli uomini in avanscoperta” (Devarim 1), Mosè si consultò con la Shekhinah e disse: “Glielo avevo detto io che (la terra) è buona, come è detto: ‘Vi farò salire dall’afflizione d’Egitto in una terra buona, ecc.’ (Shemot 3). Giuro che li induco in errore tramite le parole degli esploratori affinché non ne vengano in possesso” (Rashì ad loc. Cfr. Midrash Bemidbar Rabbà; Talmud Bab. Sotah 36). Il Midrash (Yalqut Shim’onì, Pinechas 773, 27) osserva infatti che gli uomini detestavano la terra, guardavano all’indietro e dicevano: “Diamoci un nuovo capo e torniamo in Egitto” (Bemidbar 14,4). Le donne invece amavano la terra e guardavano avanti. Lo apprendiamo dall’episodio delle cinque figlie di Tzelofchad. Rimaste orfane del padre senza avere fratelli chiesero ed ottennero per sé il possesso territoriale riservato alla loro famiglia in Eretz Israel altrimenti destinato solo ai maschi. Fiere del loro attaccamento dissero: “Dàcci un terreno in eredità fra i fratelli di nostro padre” (27,4). Per questa ragione sulle donne di quella generazione non fu decretata la punizione degli esploratori e furono ammesse nel paese (Rashì a Bemidbar 26, 63-64). Disse il S.B. a Mosè: “per te”, secondo te che pensi che i maschi siano persone per bene e che la terra sia loro cara, manda pure “degli uomini” ad esplorarla. Ma io, che conosco il futuro e investigo nei cuori, avrei preferito le donne.

Rav Alberto Moshe Somekh, Pagine Ebraiche, luglio 2013

(16 luglio 2013)