Stato e legalità – Magris: “L’esempio di Israele da cui dobbiamo imparare”
Claudio Magris, insigne germanista e intellettuale triestino (nell’immagine ritratto da Giorgio Albertini per Pagine ebraiche), firma sul Corriere della Sera un editoriale in cui racconta il valore della legge e del senso di legalità attraverso un celebre episodio della nascita dello Stato d’Israele. “Questa storia, dicevano i vecchi apologhi rivolgendosi alla fine al lettore, parla di te; anche questa esemplare storia israeliana parla di te e di me, del nostro Paese, di come non siamo e di come dovremmo essere” scrive Magris (clicca qui per l’intervista allo scrittore apparsa su Pagine Ebraiche negli scorsi mesi).
La Storia non è maestra di vita, come diceva pomposamente un vecchio detto latino, historia magistra vitae. Se fosse così, non continueremmo a commettere scelleratezze e imbecillità d’ogni genere. Ma forse non è del tutto inutile ricordare vecchi episodi illustri come quelli che un tempo venivano raccontati ai ragazzi e agli scolari con l’intento di educarli a virtù civiche, esempi di eroi che muoiono per la patria, di giusti che mantengono la parola data anche a costo di morire, di singoli che si sacrificano per tutti. Nobile retorica, certo, anche se chi la irride troppo, credendosi un furbo e machiavellico conoscitore di come va il mondo, è spesso un ingenuo cinico blu che finisce malamente. Tra le virtù oggi più ignorate e derise — specie nel nostro Paese e in particolare in questi giorni — è il senso della legge e del suo valore fondante per l’esistenza e la saldezza di uno Stato, e per la vita e l’ordine di una comunità. Chi infrange le leggi — chi ruba, chi corrompe, chi si lascia corrompere, chi froda il fisco ossia mette le mani in tasca ai cittadini — è guardato con indulgenza o addirittura con ammirazione, l’ammirazione dei fessi per il furbo, magari ancor più se è doppiamente colpevole perché riveste ruoli di alta responsabilità politica o civile. Si fa fatica a capire che il rispetto, anche a caro prezzo, della legalità non è una virtù edificante da anime belle, bensì lo zoccolo duro della vita civile. Ricordiamo dunque, a chi prende sottogamba la legge e deride chi esige il suo rispetto, una storia che segna, anche simbolicamente, la nascita dello Stato di Israele. Nel giugno del 1948 una nave, l’Altalena, parte da Port de Bouc con 900 volontari e molte armi e munizioni destinate a Israele! divenuta Stato poche settimane prima. E un momento drammatico per Israele, che è in guerra e ha molto bisogno di uomini e di armi, perché è in gioco la sua sopravvivenza. Arrivato alla meta, il capitano della nave esige che un’ingente quantità di armi e munizioni sia consegnata ai reparti dell’Irgun — l’organizzazione militare estremista ebraica, cui apparteneva con funzioni eminenti Begin — anche se formalmente sciolti e incorporati nello Tzahal, le nuove Forze armate di difesa di Israele. Ben Gurion, a capo del governo, non prende nemmeno in considerazione la pretesa, perché, replica, è il governo a decidere l’uso delle armi e ordina alla nave di consegnarle. Al rifiuto del capitano ovvero all’illegalità e alla ribellione che vogliono essere riconosciute come interlocutori — come ad esempio tanti anni dopo le Brigate rosse o, in forme non eclàtanti, bensì subacquee, talora la mafia — il governo israeliano, dopo inutili avvertimenti, risponde bombardando la nave carica di armi di cui esso ha tanto bisogno e mitragliando l’equipaggio, i marinai venuti a combattere per Israele contro gli arabi. Ben Gurion, alla Knesset — il Parlamento israeliano — parla del «cannone santo» che ha stroncato la rivolta, impedendo così che il nuovo Stato nasca bacato dal compromesso col marciume dell’illegalità. Come scrive lo storico israeliano Eli Barnavi, «Altalena in qualche modo è per Israele il biglietto d’ingresso fra gli Stati». Ben Gurion era ben consapevole che uno Stato non può nascere né vivere patteggiando con i fuorilegge; con chi viola la legge sulla quale esso si basa. Come ogni Stato, anche quello israeliano ha avuto diversi e contrapposti governi, dalle politiche ora rispettabili ora nefaste e condannabili. Ma è certamente uno Stato e non un’accozzaglia di consorterie e lo è perché non ha trattato con fuorilegge, anche se potenti o magari, in certe circostanze, utili. Nessuno, qualsiasi possa essere il suo ruolo, può sottrarsi alla legge; quando ciò accade non esiste più uno Stato. Questa storia, dicevano i vecchi apologhi rivolgendosi alla fine al lettore, parla di te; anche questa esemplare storia israeliana parla di te e di me, del nostro Paese, di come non siamo e di come dovremmo essere.
Claudio Magris, Corriere della Sera, 9 settembre 2013
(9 settembre 2013)