“Leggi razziste, non razziali”

gattegnaIn occasione dell’avvio delle manifestazioni in ricordo del 75esimo anniversario dall’annuncio delle leggi antiebraiche del fascismo, il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna è così intervenuto alla sala del Consiglio municipale di Trieste.

Illustri autorità, cari amici,

a nome delle 21 Comunità ebraiche italiane voglio ringraziare ed esprimere il più sentito apprezzamento al Comune di Trieste e al Comitato Pace, Convivenza e Solidarietà Danilo Dolci, che hanno promosso questo importante evento insieme alla Comunità ebraica di Trieste.

Ringrazio anche la Provincia di Trieste e la Regione Friuli Venezia Giulia per la loro presenza e partecipazione nelle persone dei rispettivi presidenti.

Il 18 settembre 1938, nella piazza antistante questo palazzo, per ascoltare il discorso di Mussolini, confusi tra la folla, erano presenti anche diversi ebrei, appartenenti alla importante Comunità di Trieste.

È facile immaginare quale fu la sorpresa, l’angoscia, la rabbia, lo scoramento, l’umiliazione che provarono nell’apprendere di essere stati trasformati improvvisamente da cittadini italiani di pieno diritto in una minoranza discriminata, disprezzata, emarginata e perseguitata sulla base di una folle teoria razzista alla quale aderirono anche intellettuali e scienziati, vigliaccamente e supinamente asserviti al regime fascista e che non provarono vergogna nel classificare gli ebrei come razza geneticamente inferiore.

Colpisce che alcuni di essi, dichiaratamente cattolici, forse colti da un’opportunistica amnesia, dimenticarono l’origine ebraica del cristianesimo e l’indiscussa ebraicità dei primi cristiani; ma forse in quel periodo tutto ciò a loro, resi incapaci di esprimersi con libertà di giudizio, apparve un dettaglio trascurabile.

Non a caso ho affermato che la promulgazione di quelle leggi, chiamate con un inaccettabile eufemismo “razziali”, ma che in realtà furono “razziste” e come tali intendo definirle, colse gli ebrei, salvo poche eccezioni, sorpresi, increduli e impreparati tanto è vero che molti pagarono con la vita il ritardo con il quale compresero la gravità del pericolo.

Pochi ebbero la lucidità di comprendere che lo Stato italiano stava pianificando e attuando un processo che, partendo dalla negazione dei diritti fondamentali, sarebbe arrivato alla negazione del diritto a vivere, come puntualmente avvenne pochi anni dopo quando, indissolubilmente legato alla Germania nazista, e al fianco delle SS hitleriane, prese parte con i propri uomini alla cattura di migliaia di famiglie che furono deportate nei campi di sterminio per attuare quel tentativo di genocidio che essi stessi denominarono la “soluzione finale”.

Molti ebrei fino all’ultimo rifiutarono l’idea che lo stesso Stato nel quale avevano creduto, di cui erano parte integrante, al cui progresso avevano contributo, per il quale molti avevano generosamente e valorosamente combattuto nelle battaglie risorgimentali e nella prima guerra mondiale, stava preparando un cinico e atroce tradimento.

Un tradimento nei confronti di una comunità civile e culturamente progredita che, integrata in Italia da oltre 2200 anni, smise da un giorno all’altro di essere tale e, in forza di legge, fu ridotta al rango di una realtà estranea e ostile.

Altri dettagli di carattere storico non possono che confermare la convinzione che l’Italia del 1938 era ormai un paese degradato e imbarbarito da 16 anni di dittatura, una dittatura che non divenne brutale e sanguinaria solo nel 1938 ma lo era fin dalle sue origini.

Già dal 1924 aveva mostrato il suo vero volto: non dimentichiamo che Giacomo Matteotti, dopo aver pronunciato il suo ultimo discorso in Parlamento il 30 maggio con il quale denunciò i brogli elettorali del fascismo, fu rapito e ucciso da sicari del regime il 10 giugno 1924.

In quei pochi giorni che precedettero la morte egli ebbe il tempo di pronunciare frasi profetiche, una rivolta ai suoi compagni di questo tenore: “Io, il mio discorso l’ho fatto, ora voi preparate il discorso funebre per me”. E un’altra rivolta agli avversari: “Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai”.

Anni dopo furono assassinati i fratelli Carlo e Nello Rosselli, fondatori e animatori del movimento Giustizia e Libertà. E poi, come dimenticare le innumerevoli aggressioni, i pestaggi, le bastonature, l’olio di ricino per intimidire e ridurre al silenzio qualsiasi opposizione.

Ho parlato del degrado dell’Italia del 1938, un sintomo inconfutabile fu l’approvazione in Parlamento delle leggi razziste all’unanimità, prima per acclamazione e poi con scrutinio segreto.

È incredibile ma vero che, nel Parlamento, neanche nel segreto dell’urna, alcun deputato ebbe la forza, il coraggio e la dignità per opporsi a provvedimenti tanto aberranti.

Ma come biasimare i deputati se lo stesso Capo dello Stato, il re Vittorio Emanuele III, infangò e distrusse qualsiasi prestigio morale della sua dinastia apponendo la propria firma al famigerato regio decreto numero 1390 dopo essersi ritirato nella tenuta di San Rossore, con indifferenza, forse con noncuranza e cinismo, ma contribuendo così all’immane tragedia che seguì.

Le leggi razziste del 1938 furono infatti il preludio di Auschwitz, ma Auschwitz non è stato qualcosa che ha riguardato solo gli ebrei, fu ed è qualcosa che riguarda tutta l’umanità.

Gli ebrei ne furono vittime innocenti e indifese e diedero il più alto tributo di sangue e di sofferenza. Ma ad effettuare un profondo esame di coscienza avrebbero dovuto essere gli autori di quell’abominio e, oggi, i loro eredi spirituali.

Noi, tutti insieme, come dimostra questo importante evento odierno, siamo impegnati ad agire concretamente per evitare che fatti simili possano ripetersi nei confronti di chiunque.

Questo è lo stesso fine che ci proponiamo il 27 gennaio di ogni anno in occasione del Giorno della Memoria, attraverso il quale intendiamo trasmettere alle future generazioni e in particolare agli studenti il ricordo di ciò che è stato.

Le frequenti manifestazioni di razzismo alle quali ancora oggi assistiamo con sgomento in diversi paesi ci impongono di ricordare che queste degenerazioni non sono mai sconfitte per sempre, che occorre tenere alto il livello di vigilanza, che occorre creare nella società gli anticorpi contro ogni forma di razzismo, xenofobia, sciovinismo e revisionismo storico.

Dobbiamo agire per favorire la diffusione di quei valori sui quali abbiamo scelto di fondare idealmente e concretamente la nostra vita ponendo al centro del sistema la libertà e la dignità di ogni persona e il rispetto di ogni peculiare differenza, che non deve essere vista come un pericolo ma come una fonte di ricchezza.

Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

(16 settembre 2013)