Voci a confronto

rassegna“Biglietto per Israele”. Questo il titolo della grande inchiesta, richiamata in prima pagina, che Repubblica dedica ai nuovi flussi migratori degli ebrei d’Europa verso Israele. Un fenomeno che interessa in particolare la Francia, ma anche – più in piccolo – la realtà italiana. Tra i motivi principali delle nuove aliyot la crisi economica e il crescente antisemitismo. “Le cifre assolute non sono impressionanti, ma la tendenza è significativa” spiega Sergio Della Pergola, interpellato in qualità di “massima autorità in tema di demografia del popolo ebraico”. In questo momento, rileva Della Pergola, ci sarebbero tre motivi per preferire Israele all’Europa. “Il primo è la situazione economica nel vecchio continente, con la crisi che colpisce gli strati medio-bassi della società. Poi c’è il fattore economico israeliano: qui la disoccupazione è bassa, mentre gli indicatori della crescita sono positivi, e c’è una buona capacità di assorbimento della forza lavoro. E infine c’è una percezione di antisemitismo in crescita, difficile da cogliere in modo preciso, ma presente”. Ad essere ascoltato anche Beniamino Lazar, avvocato e presidente del Comites. “C’è un aumento, ma legato soprattutto ai motivi economici. Non ho mai sentito invece di persone che hanno lasciato l’Italia per paura, come invece è successo per Francia e Belgio. Credo che in questi paesi si possa vedere un legame fra l’ antisemitismo e la presenza diffusa di arabi oltranzisti”.
Sempre più critiche le condizioni di salute dell’ex presidente del Consiglio israeliano Ariel Sharon, i cui organi vitali risultano gravemente danneggiati. Domani cadrà l’ottavo anniversario del grave ictus che lo colpì nel gennaio del 2006 portandolo a uno stato di coma dal quale non si è mai ripreso. Una coincidenza temporale che, scrive Maurizio Molinari sulla Stampa, la famiglia sembra intenzionata a sfruttare per aumentare l’attenzione del pubblico sull’eredità dell’undicesimo premier di Israele “che continua a dividere il Medio Oriente”. Perché se per gli israeliani resta l’eroe militare che seppe fra l’altro rovesciare le sorti della Guerra del Kippur, salvando nell’ottobre del 1973 l’esistenza dello Stato, per i palestinesi è ancora forte la contestazione “per la responsabilità nella strage dei campi profughi di Sabra e Chatila avvenuta nel settembre del 1982”.
In un memorabile discorso pronunciato in occasione del Giorno della Memoria il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affermò l’impossibilità di scindere antisionismo e antisemitismo. Un concetto che l’ultimo numero di MicroMega prova a mettere in discussione rivolgendo a cinque interlocutori (Gianni Vattimo, Furio Colombo, Moni Ovadia, Judith Butler e Avishai Margalit) le seguenti domande: si può essere antisionisti senza essere antisemiti? Che significato ha oggi il termine sionismo? Ha ancora senso mettere in discussione l’esistenza di Israele?
Proprio in Israele è in corso in queste ore una nuova delicatissima missione del segretario di Stato statunitense John Kerry (Corriere della sera, tra gli altri). Molti i nodi e le questioni irrisolte che sono al centro dei colloqui con il governo Netanyahu e con i rappresentanti dell’Autorità Nazionale Palestinese. Tra le principali criticità la situazione di 300mila arabi israeliani che potrebbero passare sotto la sovranità di un futuro Stato palestinese. Un’ipotesi contestata duramente dalla stessa comunità araba attraverso i suoi rappresentanti alla Knesset.
Il Giardino dei Giusti di Milano, realtà sostenuta anche dall’UCEI, si appresta ad onorare sei figure esemplari attraverso la piantumazione di un albero e di un cippo in loro memoria. La cerimonia avverrà il prossimo 6 marzo in concomitanza con la Giornata Europea dei Giusti. Da quel giorno un albero ricorderà Nelson Mandela, Angelo Giuseppe Roncalli (Papa Giovanni XXIII), Beatrice Rhoner, Giovanni Barbareschi, Fernanda Wittgens e Giuseppe Sala (Avvenire)
“Se il peccato non potrà (purtroppo) mai essere abolito, il suo primato sì, lo può, anzi lo deve essere, se il cristianesimo vuole tornare a essere fedele al Vangelo e alla sua gioia – la quale va detto, diversamente da quanto sostenuto da Scalfari, non si contrappone all’ebraismo ma senza l’ebraismo non avrebbe potuto sorgere”. È uno stralcio dalla riflessione “Il peccato nella chiesa di Francesco” a firma del teologo Vito Mancuso. Punto di partenza l’ultimo editoriale dell’ex direttore di Repubblica Eugenio Scalfari contro il quale molte voci si sono levate nell’Italia ebraica e nel rabbinato.
Torna d’attualità l’inquieta figura dell’ebrea olandese Etty Hillesum. Nel centenario della nascita la casa editrice Adelphi pubblica le sue lettere dal lager di Westerbork, mentre in Belgio – a Gent – un grande convegno metterà a fuoco gli elementi peculiari e anche le contraddizioni della sua personalità. Intervistato da Repubblica, il presidente emerito dell’Assemblea rabbinica italiana rav Giuseppe Laras afferma: “Non credo che si possa imputare alla Hillesum una qualche forma di collaborazionismo. Direi piuttosto che è sbagliato presentarla come un’eroina consapevole o una pietra miliare del pensiero. Si tratta di una ragazza intelligente e sensibile, che ha lasciato una testimonianza di grande valore, ma bisogna tener conto che aveva grossi problemi psicologici, aggravati dalla relazione con Julius Spier, un analista che aveva 27 anni più di lei”. Parole e comportamenti della Hillesum andrebbero quindi considerati, sostiene rav Laras, “nell’ottica di una personalità disturbata”.
Densa riflessione sul razzismo di Tahar Ben Jelloun. Sulle colonne dell’Espresso l’intellettuale di origine marocchina scrive: “Il razzismo non pensa: reagisce seguendo i propri istinti – che spesso sono bassi – diffonde l’odio e tutto ciò che ne deriva. Si comincia con barzellette di cattivo gusto sugli ebrei e si va a finire con quelle sui campi di concentramento e le camere a gas. Il razzismo non si ferma davanti a niente, nemmeno davanti alle leggi che lo condannano”. Preoccupazione è espressa in particolare per la crescita dei consensi ottenuti dal Fronte Nazionale guidato da Marine Le Pen. “Questo partito di estrema destra – scrive Ben Jelloun – poggia ancora i suoi ragionamenti sul rifiuto dello straniero. artivando a dimenticare, o a far finta di dimenticare, che Mohamed Merrah, il pazzo furioso che nel marzo 2012 ha assassinato prima dei militari a Montaubane poi dei bambini ebrei davanti a una scuola a Tolosa, era francese, nato in Francia e quindi non immigrante”.
Sulla Stampa Elena Loewenthal prende spunto dall’attualità – la vicenda di Nicole e Manuel, i bambini persi e ritrovati a Subiaco – per tracciare un parallelismo con quanto raccontato dallo scrittore israeliano Aharon Appelfeld nel suo ultimo romanzo, ambientato durante la Shoah, “Una bambina da un altro mondo” (ed. Guanda).
“È la madre ad accompagnare Thomas e Adam nel folto della vegetazione, dicendo loro: tornerò presto! Ma fuori c’è la guerra e ci sono le persecuzioni – osserva Loewenthal – cioè un bosco ancor più oscuro di quello dove i due vengono lasciati, trovano riparo, si costruiscono una casa su un albero e di lassù guardano al mondo con un misto di paura e intraprendenza. Come Nicole e Manuel, anche i due bambini di Appelfeld usciranno indenni da quella avventura. Con tante cose da raccontare a quegli adulti incapaci di capire come abbiano fatto a farcela, così piccini e inesperti della vita”.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(3 gennaio 2014)