Nugae – Storia di una mania

matalon“Ecco la mia dieta. Ogni mattina impara qualche verso, una breve poesia, o come hanno fatto fare a noi, La Cavallina Storna o Il sabato del villaggio”. Il dietologo in questione è Umberto Eco, e chi riceve il consiglio è suo nipote, destinatario di una lettera pubblicata sull’Espresso un paio di numeri fa insieme ad altre tredici di altrettanti prestigiosissimi padri e nonni. Un’operazione di quelle portatrici di una marea di buoni sentimenti tipica da inizio anno, e dunque di copie comodamente vendute. Ma stavolta chi se ne importa: qui c’è qualcuno di sufficientemente autorevole che spalleggia e alimenta le mie manie da secchiona. Perché di solito l’affermazione “mi diverte imparare cose a memoria” desta sempre meraviglia forse mista a un po’ di compatimento, e la minaccia di mettersi a ripetere versi della Divina Commedia è molto utile quando si vuol essere lasciati in pace. Mai nessuno che si entusiasmi, nemmeno i più appassionati fra i compagni di università, e alla fine bisogna farci l’abitudine. Questa dunque, evidentemente, è la storia di una sociopatica, iniziata alle elementari con la filastrocca del vigile urbano che ferma i tram con una mano. Tutta colpa di Gianni Rodari in pratica. Poi proprio quando il passaggio a Pascoli preannunciava un roseo avvenire, Federico Moccia a tutto spiano insidiava la dignità di una futura aspirante letterata chic. Ed è ancora lì nitidissimo, sciagurato. Insomma, alla fine l’alta concentrazione di professori del liceo assai vecchio stile che facevano imparare versi a fiumi è stata il colpo finale. Ormai era diventata una fissazione personale. E così via a imparare che il 5 maggio ei fu, o che l’amore è così dolceamaro, o che quanto piace al mondo è breve sogno, per il puro piacere di riempire la bocca di parole incantate. Ovviamente qualcosa è entrato in testa anche per inerzia, tipo l’haggadah riletta ogni anno o Notte prima degli esami cantata prima di ogni esame. E tutto sta lì a fortificare sempre più la cultura ma soprattutto la stessa memoria, che “è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce”, come dice Eco, ma deve pur esserci anche qualche studio scientifico dell’università dell’Illinois. Dunque – un po’ per razzolare bene dopo aver predicato e un po’ per sano sfoggio di erudizione, qua tocca tirar fuori Ariosto – “vostri alti pensier cedino un poco, sì che tra lor miei versi abbiano loco”.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF

(19 gennaio 2014)